Applicazione della ritenuta convenzionale nel caso in cui i dividendi vengano distribuiti a un fondo di investimento fiscalmente trasparente

I benefici previsti da una Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni possono essere riconosciuti direttamente in capo ai singoli investitori, nel caso in cui il fondo di investimento sia fiscalmente trasparente.

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello del 19 aprile 2021, n. 258, conferma, in buona sostanza, il proprio orientamento sul punto, ribadendo che i partecipanti a un fondo che investe in Italia possono godere del trattamento fiscale previsto da una Convenzione bilaterale conclusa con il Paese in cui gli stessi risiedono, purché gli utili di gestione siano loro imputati ai fini dell’imposizione nel rispettivo Stato di residenza.

L’istante è una fondazione di diritto privato, residente in Svizzera sulla base delle disposizioni previste dalla Convenzione bilaterale tra il Paese elvetico e l’Italia. Tale fondazione – che svolge l’attività di offerta di coperture previdenziali integrative ai dipendenti di società della fondazione – si qualifica come entità dotata di personalità giuridica e di soggettività passiva di imposta, in virtù della normativa interna svizzera. Nello svolgimento della sua attività, la stessa investe in azioni di società residenti in Italia, agendo per il tramite di un fondo di investimento di diritto svizzero privo di personalità giuridica, destinato a investitori qualificati. Quest’ultimo, dunque, a livello tributario si presenta come fiscalmente trasparente: di conseguenza, i redditi dallo stesso prodotti sono imputati direttamente agli investitori – in proporzione alla quota di partecipazione da questi posseduta – a prescindere dall’effettiva distribuzione.

L’istante chiede all’Agenzia delle Entrate di pronunciarsi sul regime tributario applicabile ai dividendi erogati dalle società italiane in cui la stessa fondazione investe per il tramite del fondo di investimento trasparente.

In primis, l’Agenzia rileva che l’assenza di soggettività passiva del fondo impedisce di qualificare tale forma di investimento come “persona residente” in Svizzera ai fini della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con l’Italia. Ciò, tuttavia, non esclude a priori che, al ricorrere di determinate condizioni, la fondazione – in qualità di partecipante al predetto fondo di investimento trasparente – possa beneficiare del trattamento previsto dalla Convenzione tra Italia e Svizzera.

Secondo l’Agenzia, infatti – in virtù anche del rimando dalla stessa effettuato ai principi fissati a livello internazionale in sede OCSE – si può riconoscere ai soci di una partnership fiscalmente trasparente una generale legittimazione a invocare le disposizioni della Convenzione bilaterale, nei limiti della quota di reddito ad essi imputata, a condizione che detto reddito sia loro attribuito ai fini dell’imposizione nello Stato di residenza, a prescindere dall’effettiva distribuzione.

Detti principi sono stati applicati dall’Amministrazione finanziaria anche ai casi di dividendi erogati da società residenti fiscalmente in Italia a fondi di investimento esteri che si qualificano come trasparenti.

Di particolare interesse è il richiamo che l’Agenzia compie alle nozioni di “trasparenza economica” e di “trasparenza fiscale”. Nello specifico, viene chiarito che i partecipanti a un fondo che investe in Italia possono godere del beneficio fiscale previsto dalla Convenzione con il Paese in cui gli stessi risiedono, a condizione che gli utili di gestione vengano loro imputati ai fini dell’imposizione nel rispettivo Stato di residenza. Ciò accade sia nell’ipotesi in cui quest’ultimo Stato qualifichi il fondo come fiscalmente trasparente e assoggetti a imposizione gli utili in capo agli investitori, indipendentemente dall’effettiva percezione (c.d. “trasparenza fiscale”), sia nell’ipotesi in cui il fondo abbia natura di mero veicolo, all’interno del quale transitano i flussi reddituali in favore dei partecipanti, a cui sono distribuiti con cadenza almeno annuale in forza di vincoli statutari e in capo ai quali sono assoggettati a imposizione nello Stato di residenza (c.d. “trasparenza economica”).

Infine, l’Agenzia precisa che in questi casi il trattamento convenzionale può essere riconosciuto solo se l’investitore possa essere congiuntamente considerato treaty entitled, nonché beneficial owner.

Il primo presupposto richiama il concetto convenzionale di tax liability: non si richiede, quindi, che la persona (in senso convenzionale) sia “in concreto” soggetta a imposizione, ma che, piuttosto, essa soggiaccia, in virtù di un collegamento personale, alla potestà impositiva dello Stato della residenza. Il secondo presupposto, invece, sta a significare che il percettore deve poter esercitare un potere discrezionale libero da vincoli giuridici sul reddito.

Ne consegue che il riconoscimento del vantaggio convenzionale è sempre subordinato al riscontro sia della qualifica di residente ai fini della Convenzione – nel senso già chiarito di soggetto passivo d'imposta (liable to tax) – sia della circostanza per cui il percettore sia anche il beneficiario effettivo del reddito.

Alla luce di quanto sopra esposto, l’Agenzia ha ritenuto che nel caso concreto la fondazione possa giovarsi dell’applicazione della ritenuta (15%) prevista dall’articolo 10, paragrafo 2, della Convenzione bilaterale tra Italia e Svizzera.

La soluzione prospettata dall’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello in commento appare, ad avviso di chi scrive, condivisibile, dal momento che riafferma, con coerenza e logicità, principi di diritto già a suo tempo previsti dall’OCSE nel Commentario al Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni.

FN

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