L’Agenzia delle Entrate, nella risposta a interpello del 27 aprile 2021, n. 296, ha fornito alcuni chiarimenti in merito all’imponibilità in Italia delle attività di lavoro dipendente prestate, a favore di un datore di lavoro residente in Italia, da un soggetto residente nel Regno Unito, in modalità di telelavoro. In base all'ordinamento tributario interno, l'articolo 23, comma 2, lettera c), del TUIR prevede che si considerano prodotti in Italia «i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato». In base alla disciplina convenzionale, l'articolo 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito, sottoscritta il 21 ottobre 1988 e ratificata con legge 5 novembre 1990, n. 329 prevede, al paragrafo 1, che «i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un'attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell'altro Stato contraente. Se l'attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato». In sostanza, i redditi di lavoro dipendente sono imponibili esclusivamente nello Stato di residenza del prestatore, salvo che l’attività non sia svolta in un altro Stato. In tale ipotesi, si verifica una potestà impositiva concorrente dei due Stati[1]. A tale proposito, il "luogo di prestazione" dell'attività lavorativa è il luogo dove il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato. Ciò a prescindere dal fatto che i risultati della prestazione lavorativa sono utilizzati in detto Stato (cfr. commentario all'articolo 15, paragrafo 1, del Modello OCSE). Tali principi sono applicabili anche in caso di telelavoro. Pertanto, anche se i risultati della prestazione lavorativa sono utilizzati in Italia, la tassazione del reddito deve avvenire solo nel Regno Unito, Paese in cui il telelavoratore è fisicamente presente e fiscalmente residente quando svolge la propria attività lavorativa. Ne consegue che, non avendo i predetti emolumenti rilevanza fiscale in Italia, il datore di lavoro potrà esimersi dall’operare le ritenute alla fonte ex art. 23 del DPR n. 600/1973. A tal fine, il dipendente dovrà presentare idonea documentazione volta a dimostrare l'effettivo possesso di tutti i requisiti previsti dalla Convenzione per beneficiare del regime di esenzione (cfr. Agenzia delle Entrate, risoluzioni 12 luglio 2006, n. 86; 3 maggio2005, n. 56; 24 settembre 2003, n. 183; 24 maggio 2000, n. 68; 10 giugno 1999, n. 95). FN [1] La tassazione esclusiva nello Stato di residenza trova applicazione anche per i redditi erogati in corrispettivo di un'attività di lavoro subordinato svolta nell'altro Stato sempreché ricorrano congiuntamente le seguenti tre condizioni: «a) il beneficiario soggiorna nell'altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso di un qualsiasi anno fiscale; e b) le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell'altro Stato; e c) l'onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell'altro Stato».