Abstract Con l’ordinanza n. 14566/2021 i giudici di legittimità hanno stabilito che il giudicato relativo all’ente della riscossione si estende all’Agenzia delle Entrate, giusta la sostituzione processuale del primo all’ente creditore in forza di quanto previsto dall’art. 39 del D.lgs. n. 112/1999. *** Il caso in esame Il caso posto al vaglio della Suprema Corte origina dalla notifica, da parte dell’Agente della riscossione competente per la provincia di Bergamo (Equitalia Esatri S.p.A.), di una cartella di pagamento portante una pretesa complessiva di oltre 2 milioni di Euro a titolo di IRPEF e relativi interessi e sanzioni, derivante da un precedente avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate per il periodo d’imposta 2003. Il contribuente, destinatario della cartella di pagamento in oggetto, la impugnava dinanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo, lamentando la nullità della notifica sia della cartella che del presupposto avviso di accertamento. Deduceva, altresì, che l’inesistenza giuridica della notificazione del prodromico provvedimento impositivo era già stata oggetto di accertamento in un parallelo giudizio dinanzi alla Commissione Provinciale di Perugia, in cui si era costituito il solo Agente della riscossione, e concluso con l’annullamento tanto dell’atto presupposto quanto della cartella di pagamento. La sentenza della Commissione Provinciale di Perugia passava, poi, in giudicato. La CTP di Bergamo, adeguandosi alla pronuncia del Collegio umbro, accoglieva il ricorso proposto dal contribuente. A sua volta, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (sez. staccata di Brescia), nel confermare il decisum di primo grado, riscontrava nel caso di specie la corretta applicazione del principio del ne bis in idem, stante l’identità dei fatti materiali oggetto di entrambi i giudizi sopra discussi. In particolare, secondo il giudice del gravame (confortato dalla giurisprudenza della Suprema Corte richiamata in sentenza) “ai fini del giudizio occorre conferire rilievo ai fatti indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica”: principio pacificamente applicabile anche al processo tributario, come stabilito dalla richiamata sentenza n. 15441/2020 della Corte di Cassazione che statuisce nel senso della necessità di verificare, in ogni caso, i rapporti intercorrenti tra i ricorsi introduttivi proposti in momenti diversi, nonché tra i relativi giudizi dagli stessi scaturiti, escludendo qualsivoglia applicazione dell’istituto della litispendenza. Avverso tale pronuncia proponeva, dunque, ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affermando la non opponibilità, nei suoi riguardi, del giudicato formatosi sulla cartella di pagamento. Parte erariale contestava, in particolare, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., in quanto i giudici di merito non avrebbero tenuto conto del principio (espresso dalla richiamata disposizione del Codice civile) secondo cui il presupposto dell’efficacia del giudicato esterno risiede – sotto il profilo strettamente soggettivo – nell’essersi formato tra le stesse parti: presupposto che nel caso di specie non si sarebbe verificato, in quanto l’ente creditore (i.e. l’Agenzia delle Entrate) non era mai stato parte processuale nel parallelo giudizio dinanzi alla CTP di Perugia. La pronuncia Nel rigettare il ricorso dell’Amministrazione finanziaria avverso la pronuncia della CTR Lombardia, l’ordinanza n. 14566/2021 della Suprema Corte ha evidenziato come il giudicato formatosi all’esito del giudizio dinanzi al Collegio perugino, seppur relativo all’Agente della riscossione, non possa non estendersi automaticamente all’ente creditore (Agenzia delle Entrate), nonostante quest’ultimo non fosse stato parte nel parallelo giudizio. Lineare la motivazione dei giudici di legittimità. Il giudicato formatosi tra il contribuente e l’Agente della riscossione, infatti, produce effetti anche nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (creditrice della pretesa portata nel prodromico avviso di accertamento e recepita, a valle dell’iscrizione a ruolo, nella cartella di pagamento), atteso che la perentoria formulazione dell’art. 39 del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112 (secondo cui “Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”) comporta l’effetto processuale della sostituzione dell’ente della riscossione a quello impositore. Ne discende la logica ed “automatica” conseguenza dell’operatività, nei confronti di quest’ultimo, del giudicato venutosi a formare in un parallelo giudizio intercorso tra il contribuente ed il solo Agente della riscossione. La partecipazione dell’ente creditore a tale processo, infatti, deve certo essere sollecitata dall’Agente della riscossione ai sensi del richiamato art. 39 del D.Lgs. n. 112/1999, ma non costituisce in alcun modo il requisito per rendere giuridicamente opponibili le relative pronunce, poiché doverosa è la sola denuntiatio litis dell’ente impositore, non anche la sua concreta partecipazione al contenzioso. Diversamente da quanto accade, invece, nel caso del litisconsorzio necessario, dove tale compartecipazione (lo dice il nome stesso dell’istituto) assume profili ineludibili di obbligatorietà, tali da fondare l’eventuale inoperatività della relativa statuizione all’ente che non abbia preso parte attiva al giudizio. Tali profili sono, del resto, patrimonio acquisito della giurisprudenza di legittimità: valga su tutte la risalente, ma importante sentenza n. 16412/2007, resa a Sezioni Unite, espressamente richiamata dai giudici. Chiude l’ordinanza in commento una condivisibile considerazione circa l’effetto paradossale che verrebbe a prodursi ove l’Agenzia delle Entrate potesse, in via meramente ipotetica, “fare proprio l’esito favorevole della lite e considerare inter alios – e inopponibile – quello sfavorevole, sia perché in quest’ultimo caso il contribuente non trarrebbe alcun concreto beneficio dalla decisione resa (dato che l’ente potrebbe sempre reiterare gli atti anche in caso di riconosciuta insussistenza della pretesa tributaria), sia – e soprattutto – perché si determinerebbe una situazione in cui l’ente impositore non avrebbe mai un effettivo interesse a partecipare alla lite a seguito di denuntiatio, posto che l’esito favorevole all’agente della riscossione gli gioverebbe mentre quello sfavorevole gli sarebbe inopponibile”. F.N.