Difetto di legittimazione attiva per il liquidatore della società estinta – Commento a Cass. civ., Sez. V, ord. 12 luglio 2021, n. 19763

14 Luglio 2021

Abstract

Con l’ordinanza n. 19763/2021 la Suprema Corte ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva del liquidatore di una società estinta a impugnare il provvedimento impositivo emesso nei confronti dell’ente: vizio processuale ab origine insanabile, che non può che condurre a una pronuncia declinatoria di rito. 

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A seguito di un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, basato sull’analisi delle movimentazioni bancarie del socio accomandatario di una s.a.s., l’Agenzia delle Entrate emetteva tre distinti avvisi di accertamento ai fini IRAP, IVA ed IRPEF, con i quali imputava alla società ricavi non dichiarati per oltre 100.000 Euro.

In data 15 aprile 2011 la società, a seguito della fase liquidatoria, veniva cancellata dal registro delle imprese. Tuttavia, nonostante l’avvenuta estinzione dell’ente, nel maggio 2011 l’ormai ex-socio accomandatario, in qualità di di liquidatore, impugnava gli avvisi di accertamento.

All’esito del giudizio di primo grado veniva emessa sentenza sfavorevole, impugnata dal medesimo soggetto in qualità di “socio ed ex liquidatore della società [omissis] Sas cancellata dal registro delle imprese” dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio. Il giudice del gravame, tuttavia, respingeva l’appello rilevando un insanabile difetto di legittimazione del liquidatore a proporre ricorso in primo grado, attesa l’intercorsa estinzione della società (aprile 2011) anteriormente all’impugnativa dei provvedimenti impositivi da parte di quest’ultimo (maggio 2011). Dichiarava, pertanto, la cessazione della materia del contendere.

La società, dunque, in persona del liquidatore (che, tuttavia, stavolta si qualificava semplicemente “socio accomandatario della [omissis] Sas”) ricorreva per cassazione avverso la pronuncia di secondo grado, affidando le proprie doglianze a due motivi di ricorso:

  • ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 2945 c.c., 40 del D.Lgs. n. 546/1992, 110 e 299 c.p.c., attesa la corretta instaurazione del giudizio da parte “del Sig. [omissis] in qualità di socio della [omissis] Sas cancellata dal registro delle imprese”;
  • ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3 e 4, c.p.c, intercorsa violazione dell’art. 163 del d.P.R. n. 917/1986, in quanto i presunti ricavi “in nero” sarebbero stati, al contrario, regolarmente dichiarati, come evincibile dalla documentazione prodotta nel giudizio di merito.

La Suprema Corte ha respinto il primo motivo di ricorso, con il susseguente assorbimento del secondo, confermando la statuizione della Commissione Regionale in ordine al rilevato difetto di legittimazione attiva in capo al liquidatore della società già estinta.

Il ricorrente evidenziava come il ricorso in appello fosse stato proposto nella sua qualità di socio oltreché di (ex) liquidatore della società, altresì argomentando che “ipotizzare che la volontaria estinzione dell’ente collettivo comporti […] la cessazione della materia del contendere nei giudizi contro di essa proposti significherebbe imporre un ingiustificato sacrificio ai diritti dei creditori”.

Per i giudici di legittimità le doglianze di parte ricorrente non meritano accoglimento in quanto, pacificamente, l’allora liquidatore aveva proposto l’originario ricorso posteriormente all’estinzione della società, con la conseguenza che alcun giudizio pendeva nei confronti della stessa al tempo della cancellazione. Inoltre la Corte ha ritenuto infondata la doglianza del ricorrente secondo cui la proposizione dell’appello nella qualità di socio accomandatario (e non solo di ex-liquidatore) della s.a.s. avrebbe avuto efficacia sanante dell’eventuale vizio di legittimazione in primo grado: invero, la costituzione nel giudizio di appello con la spendita di un diverso titolo di legittimazione (i.e. quello di socio) non è in alcun modo idonea a sanare, retroattivamente, il difetto di legittimazione attiva nel giudizio di prime cure.

E d’altra parte la stessa Suprema Corte, con la recente sentenza n. 10572/2020, ha statuito nel senso per cui l’ex-liquidatore non può essere considerato dotato di legittimazione a impugnare un provvedimento impositivo emesso nei confronti della società quando quest’ultima risulti già estinta anteriormente alla proposizione del ricorso. In tale pronuncia, infatti, la Corte ha evidenziato che “l'accertamento del difetto di legitimatio ad causam sin da prima che venisse instaurato il primo grado di giudizio elimina in radice ogni possibilità di prosecuzione dell'azione e comporta, a norma dell'art. 382 c.p.c., comma 3, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per cassazione (Cass., 4853/2015; Cass., 21184/2014; Cass., 22863/2011; Cass., 14266/2006; Cass., 2517/2000).” In casi analoghi, dunque, ricorre un vero e proprio vizio processuale ab origine insanabile.

In conclusione, l’ordinanza n. 19763/2021 in commento enuncia il seguente principio di diritto: “in materia tributaria, qualora l’avviso di accertamento sia stato notificato ad una società, e la stessa risulti successivamente estinta mediante cancellazione volontaria dal registro delle imprese, vicenda che determina il venir meno del potere di rappresentanza del liquidatore, l’ex liquidatore della società non dispone della legittimazione ad impugnare l’atto impositivo, venendo in rilievo un vizio insanabile originario del processo che richiede, sin dal primo grado del giudizio, una pronuncia declinatoria di rito”.

F.N.

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