Nel transfer pricing l’Agenzia ha l’onere di confrontarsi con i vari metodi utilizzati dal contribuente

3 Settembre 2021

La Corte di Cassazione, sez. V, nell’ordinanza 10 agosto 2021, n. 22539, ha fornito alcune indicazioni di merito per l’individuazione del metodo più appropriato di determinazione dei prezzi di trasferimento e sul relativo onere della prova.

Il caso di specie trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento, relativo al periodo d’imposta 2004, notificato a una società residente in Italia e operante nel settore della fabbricazione di medicinali e integratori a uso veterinario. Con tale avviso, l’Agenzia delle entrate (“Agenzia”) accertava l’incongruità dei prezzi di trasferimento riguardanti la cessione di alcuni beni a un’impresa consociata tedesca.

Nello specifico, quale metodo per la determinazione dei prezzi di trasferimento, il contribuente aveva utilizzato due metodi. Si trattava, in estrema sintesi, del metodo del prezzo di rivendita, per i prodotti oggetto di mera commercializzazione, e del metodo del costo maggiorato, per i prodotti oggetto di ulteriore lavorazione da parte della ricorrente.

Invece, l’Agenzia aveva utilizzato, ai fini della rettifica, il c.d. metodo di confronto del prezzo[1], “avuto riguardo allo stadio di commercializzazione, al periodo e al luogo di esecuzione[2], procedendo, inoltre, al recupero dell’IVA relativa ai componenti positivi di reddito accertati.

La società contribuente proponeva ricorso avverso tale atto, contestando la comparabilità dei prodotti presi a confronto dall’Ufficio e invocando l’applicazione di altri metodi di comparazione.

La Commissione tributaria provinciale di Latina rigettava in primo grado il ricorso. In appello, la Commissione tributaria regionale del Lazio (“CTR”), con sentenza 26 giugno 2012, n. 316/40/12, confermava la pronuncia del giudice di prime cure.  In particolare, a parere della CTR, doveva ritenersi corretto l’utilizzo del metodo del confronto del prezzo nel caso concreto, osservando che si trattava di prodotti similari a quelli della società concorrente presa come entità comparabile. Inoltre, secondo i giudici dell’impugnazione, i diversi metodi applicati dalla ricorrente non avrebbero consentito l’individuazione di quali sarebbero stati i “dati presi a base[3] del metodo di comparazione. Peraltro, la sentenza di appello ometteva di pronunciarsi sul motivo d’appello relativo all’illegittimità dell’avviso di accertamento, per avere esteso la rettifica dei prezzi di trasferimento all’IVA.

Contro tale decisione, la società contribuente presentava ricorso per cassazione.

Per i giudici di legittimità, l’Agenzia è onerata di provare che le transazioni, poste in essere dal contribuente, avrebbero generato un maggior reddito imponibile se fossero state condotte tra soggetti terzi indipendenti. In altre parole, l’Ufficio deve provare l’esistenza di operazioni effettuate a un valore che si dimostri inferiore al c.d. “valore normale”, di cui all’art. 9, co. 3, del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”).

Nell’individuazione dei metodi di determinazione dei prezzi di trasferimento l’Agenzia deve attenersi alle indicazioni contenute nelle Linee Guida dell’OCSE sui prezzi di trasferimento (“Linee Guida”). Queste, pur trattandosi di regole di soft law, devono essere utilizzate per riempire gli spazi interpretativi lasciati dalle norme di diritto interno (che si ispirano, come si è visto, alle medesime disposizioni sovranazionali). Ciò in analogia a quanto precisato dalla Corte di Cassazione in termini di valorizzazione dei Commenti contenuti nel documento TAXUD in tema di daziabilità delle royalties[4], nonché in tema di protezione internazionale, ove sono state prese in considerazione le linee guida UNHCR[5].

Non esiste una gerarchia che permetta di determinare a priori il metodo più appropriato. È pur vero che l’art. 9, co. 3, del TUIR individua quale strumento di calcolo del suddetto valore normale il metodo del confronto del prezzo con imprese indipendenti; tuttavia, le Linee Guida individuano una pluralità di metodi per la determinazione dei prezzi di trasferimento. In applicazione delle summenzionate Linee Guida, infatti, è necessario scegliere il metodo che risulti “più appropriato alle circostanze di specie (…), non sussistendo una rigida gerarchia predefinita dei metodi utilizzabili, né dovendo i vari metodi alternativamente previsti (…) essere utilizzati in chiave ausiliaria”.[6]

L’Agenzia deve, quindi, scegliere il metodo più appropriato in relazione al caso concreto, “assolvendo all’onere della prova circa l’applicazione del valore di comparazione più adeguato”.[7]

Nel fare ciò, essa deve previamente valutare i metodi per la determinazione dei prezzi di trasferimento utilizzati dal contribuente, motivando le ragioni per le quali ritiene da discostarsi da essi.

L’onere di provare la non conformità al valore normale dei prezzi applicati dal contribuente grava in ogni caso sull’Ufficio.

La Corte di Cassazione rileva che nella sentenza impugnata è stata del tutto trascurata l’analisi funzionale relativa all’impresa concorrente, dal momento che non è stata effettuata alcuna valutazione, dal punto di vista della comparabilità, della funzione economica svolta da quest’ultima. Viene altresì rilevato che nessuna motivazione è stata fornita in merito alle ragioni per le quali il metodo applicato dal contribuente dovesse considerarsi inadeguato rispetto al metodo del confronto di prezzo praticato dall’Agenzia. Da ultimo, viene anche accolto il motivo di ricorso relativo alla ripresa ai fini IVA dei prezzi di trasferimento, per mancata pronuncia del giudice d’appello.

Sulla base di tali considerazioni, la Corte di Cassazione cassa con rinvio la sentenza impugnata.

La pronuncia in commento appare meritevole di attenzione sotto una pluralità di profili.

In primo luogo, l’ordinanza in esame si sofferma sulla rilevanza ai fini interpretativi delle Linee Guida.

In secondo luogo, essa ribadisce come l'onere della prova in merito alla conformità dei prezzi di trasferimento al prezzo di libera concorrenza gravi sull’Agenzia. A tale proposito, sulla stessa Agenzia grava un obbligo di previo esame del metodo applicato dal contribuente. L’Ufficio, nel caso ritenga di applicare un metodo diverso da quello applicato dal contribuente, deve pertanto fornire idonea motivazione, alla luce delle caratteristiche concrete delle transazioni analizzate.

Più in generale, dalla pronuncia può essere tratta indirettamente un’ulteriore conferma in merito alle difficoltà connessa all’applicazione del metodo del confronto di prezzo (rispetto agli altri metodi indicati dalle Linee Guida quali, per esempio, il metodo del costo maggiorato o del prezzo di rivendita). Ciò alla luce delle estreme difficoltà connesse all’individuazione di una transazione similare relativa al medesimo prodotto nel medesimo stadio di commercializzazione/produzione.

RC


[1] Da sempre considerato il metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento che più fedelmente rispecchia il principio di libera concorrenza, il metodo del confronto del prezzo (anche chiamato CUP – Comparable uncontrolled price method) consiste nel confrontare il prezzo richiesto per beni o servizi trasferiti in una transazione tra parti associate con il prezzo richiesto per beni o servizi trasferiti in una transazione comparabile tra imprese indipendenti in circostanze comparabili.

[2] Cfr. ordinanza in commento, p. 2.

[3] Cfr. ordinanza, p. 2.

[4] Cfr. ex multis Cass., Sez. V, sentenza 16 ottobre 2020, n. 22480; Cass., Sez. V, sentenza 6 aprile 2018, n. 8473.

[5] Cfr. Cass., Sez. I, sentenza 24 novembre 2017, n. 28152.

[6] Cfr. ordinanza, paragrafo 2.6, p. 11.

[7] Cfr. ordinanza, paragrafo 2.7, p. 12.

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