Con la sentenza depositata il 16 settembre 2021, in definizione della controversia tra Commissione europea contro Regno del Belgio e Magnetrol International (causa C-337/19), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”) ha sancito l’incompatibilità con il diritto europeo, ai sensi degli artt. 107 e 108 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”), della prassi amministrativa attuata dal Belgio sulle rettifiche del reddito delle società in presenza di utili superiori a quelli di libera concorrenza. A partire dal 2004, infatti, l’amministrazione finanziaria belga ha affidato le prerogative di rettifiche in diminuzione ad una commissione di ruling denominata service des décisions anticipées en matière fiscale (“SDA”) che attuava, su istanza dei contribuenti, l’adeguamento degli utili superiori a quelli di libera concorrenza mediante atti amministrativi noti come “decisioni anticipate”. A differenza di quanto avviene in Italia (ove l’eventuale rettifica in diminuzione degli utili delle consociate residenti fa necessariamente seguito alla rettifica in aumento operata da un altro stato sulla consociata estera del medesimo gruppo[1]), l’attività della SDA veniva svolta in assenza di alcuna forma di cooperazione informativa con altri paesi. In particolare, tale commissione decideva caso per caso, sulla base di elementi informativi forniti dal contribuente medesimo senza necessità di allegare l’avvenuta rettifica in aumento subita da un'altra società del gruppo all’estero. Tale sistema – perfezionato all’esito di una circolare amministrativa del 2006 – aveva sin da subito generato diverse perplessità a livello interno, com’è attestato da tre interrogazioni parlamentari rivolte al ministro delle finanze tra il 2005 e il 2015, all’esito delle quali i vertici dell’amministrazione finanziaria avevano costantemente ribadito che “le autorità fiscali belghe non erano tenute a determinare a quale società estera dovesse essere attribuito l’utile in eccesso non tassato in Belgio”. Il sistema di rettifica in adeguamento, complessivamente considerato, portava quindi ad un’erosione delle basi imponibili delle società residenti che avevano avuto accesso alla procedura, a cui conseguiva l’impossibilità di individuare i soggetti a cui gli utili in eccesso dovessero essere imputati. La Commissione europea ha contestato il meccanismo di esenzione degli utili attuato attraverso decisioni anticipate, qualificandolo come un regime di aiuti di stato ai sensi dell’art. 107, par. 1, TFUE, incompatibile con il mercato interno e a cui era stata data esecuzione in violazione dell’obbligo di notifica ex art. 108, par. 3, TFUE. Ha quindi disposto, con propria decisione, il recupero degli aiuti di stato illegittimamente concessi; ordine al quale il Belgio non ha dato seguito. Elementi rilevanti per la qualificazione attuata dalla Commissione sono stati i seguenti: a) l’esenzione degli utili in eccesso ha rappresentato un intervento dello Stato, imputabile a quest’ultimo, e determinava una perdita di risorse statali; b) il regime è stato ritenuto idoneo ad incidere sugli scambi tra paesi membri, perché di esso ne avrebbero giovato società multinazionali operanti in vari stati membri, con connessa falsificazione o minaccia di falsificazione della concorrenza nel mercato europeo; c) il regime ha conferito un vantaggio selettivo alle entità belghe, favorendo unicamente i gruppi multinazionali di imprese ai quali tali entità appartenevano. La decisione della Commissione è stata impugnata dal Belgio e dall’Irlanda[2], nonché da un ampio novero di società che in passato avevano fruito del regime, dinanzi al Tribunale dell’Unione Europea. In questa sede, i giudici hanno rigettato le tesi sostenute dalla Commissione, sul presupposto che il sistema contestato non possedesse i requisiti formali per qualificarsi come regime di aiuti, alla stregua di quanto previsto dal Regolamento UE n. 2015/1589[3]. La sentenza del Tribunale è stata, quindi, oggetto di gravame, proposto dalla Commissione dinanzi alla Corte di Giustizia. Valutate le argomentazioni assunte dai giudici di primo grado, la Corte ha affermato che affinchè si configuri un “regime di aiuti” ai sensi dell’art. 1, lett. d) del regolamento 2015/1589 è necessaria la compresenza di tre condizioni: In particolare, i giudici della Corte hanno contestato al Tribunale di aver interpretato erroneamente le predette condizioni. Infatti, secondo i giudici di primo grado, il sistema descritto doveva essere analizzato operando una scissione tra la norma del codice delle imposte sui redditi[4] – che ne costituiva il fondamento – e gli atti amministrativi che ne davano svolgimento (ossia le decisioni anticipate assunte dalla SDA). Secondo tale prospettazione, la fruizione del regime agevolativo era sempre e comunque subordinata all’adozione di “ulteriori misure di attuazione”; circostanza che, quindi, precludeva alla qualificazione di “regime di aiuti”. La Corte tuttavia, accogliendo l’impostazione della Commissione, ha rilevato che il termine “atto” a cui si riferisce l’art. 1, lett. d), del regolamento citato debba essere interpretato estensivamente, facendovi rientrare non solo gli atti normativi in senso stretto, ma anche “una prassi amministrativa costante delle autorità di uno Stato membro, qualora tale prassi riveli un “approccio sistematico” le cui caratteristiche soddisfino i requisiti di cui all’articolo 1, lett. d) del regolamento 2015/1589”[5]. In conseguenza di tale tesi, è stata esclusa la configurabilità di ulteriori misure di attuazione, giacchè le decisioni anticipate della SDA sarebbero state da includere nella nozione estesa di “atto”. Quanto al termine “approccio sistematico”, v’è da premettere che, come risulta da precedenti giurisprudenziali richiamati nella sentenza, tale concetto era stato in passato utilizzato dalla Commissione per affermare l’esistenza di un regime di aiuti solo laddove mancasse un atto giuridico idoneo a fondare il regime agevolativo. Il Tribunale, attenendosi a tale giurisprudenza, ha ritenuto che tale strumento valutativo non potesse essere impiegato nel caso di specie, essendo espressamente individuata la norma di legge che costituiva il fondamento delle esenzioni. Superata tale impostazione sull’assunto per cui una prassi amministrativa costante può concorrere con l’atto normativo generale per fondare un regime di aiuti, la Corte ha dovuto valutare se la Commissione avesse assolto all’onere probatorio richiesto per ritenere sussistente un approccio sistematico dell’amministrazione finanziaria belga. La Commissione ha infatti valutato un campione di 22 decisioni anticipate sulle 66 che erano state adottate nell’ambito dell’esenzione degli utili in eccesso. Tale campione raccoglieva decisioni assunte nel corso degli anni 2005, 2007, 2010 e 2013 “al fine di ricomprendere le decisioni adottate all’inizio, alla metà e alla fine del periodo del regime in questione”. In considerazione del fatto che le decisioni analizzate costituivano un terzo del totale e che erano state “selezionate in modo ponderato tra tutte le decisioni adottate nell’ambito dell’esenzione degli utili in eccesso nel periodo considerato”, la Corte ha ritenuto che il campione fosse rappresentativo della prassi amministrativa e per questo ha ritenuto che la Commissione avesse efficacemente raggiunto la prova dell’approccio sistematico tenuto dalle autorità fiscali belghe. Sulla scorta di tali motivi, la Corte di Giustizia ha annullato la sentenza del Tribunale, ritenendo sussistente il regime di aiuti di stato contestato dalla Commissione. Particolarmente degna di nota, in epilogo di sentenza, è la risposta dei giudici alla censura mossa dal Belgio circa un travalicamento, da parte della Commissione, delle sue competenze; in particolare, è stato affermato che la Commissione si sia avvalsa del diritto dell’Unione in materia di aiuti di stato per determinare unilateralmente elementi rientranti nella competenza fiscale esclusiva di uno stato membro, quale è l’imposizione diretta e, più specificamente, il calcolo dei redditi imponibili[6]. A tale censura, la Corte ha replicato che “se è pur vero che, in assenza di una normativa dell’Unione in materia, rientrano nella competenza degli stati membri la determinazione delle basi imponibili e la ripartizione dell’onere fiscale sui diversi fattori di produzione e settori economici (…) gli stati membri devono astenersi dall’adottare misure che possono costituire aiuti di stato, il cui controllo rientra nella competenza della Commissione”. A.P. [1] Si veda sul punto l’art. 31quater del d.P.R. 600/73, introdotto con D.L. 24 aprile 2017, n. 50. [2] La Repubblica d’Irlanda non si è, invece, costituita nel giudizio di impugnazione svoltosi davanti alla Corte di Giustizia. [3] Regolamento del 13 luglio 2015 recante la disciplina organica circa la definizione di aiuti e sulla procedura di notifica ex art. 108 TFUE. [4] Il riferimento è all’art. 185, par. 2, del code des impôts sur les revenus (c.d. “CIR”), che costituisce la base normativa dell’attività svolta dalla SDA, e che recita “quando gli utili di un’impresa comprendono gli utili che sono inclusi anche in quelli di un’altra impresa e gli utili così inclusi corrispondono a quelli che sarebbero stati registrati da quest’altra impresa se le condizioni convenute tra le due imprese fossero state quelle che sarebbero state concordate tra imprese indipendenti, si procede a un aggiustamento appropriato degli utili della prima impresa”. [5] L’interpretazione estensiva adottata dalla Corte viene giustificata sul presupposto che solo in virtù della concreta applicazione di una norma fiscale – anche per mezzo delle sue applicazioni da parte delle autorità amministrative - è possibile valutarne l’effettiva portata e l’eventuale incompatibilità con i Trattati. Cfr. sul punto §82 per cui “prendere in considerazione una tale prassi amministrativa, nell’ambito della determinazione dell’«atto» costitutivo di un regime di aiuti, ai sensi dell’articolo 1, lettera d), del regolamento 2015/1589, consente infatti di rivelare la portata effettiva di tale disposizione fiscale, che non potrebbe altrimenti essere intesa sulla sola base di detta disposizione”. [6] Secondo il Belgio, la decisione della Commissione di qualificare come aiuti di stato le esenzioni sugli utili in eccesso “equivarrebbe ad un’armonizzazione forzata delle norme relative al calcolo dei redditi imponibili, il che non rientra nella competenza dell’Unione”.