Niente esenzione per gli interessi a banche UK

24 Gennaio 2022

L’Agenzia delle Entrate, con risposta ad interpello n. 839 del 21 dicembre 2021 si è pronunciata sull’applicazione dell’esenzione ex art. 26, comma 5-bis, del Dpr n. 600/1973 (“Esenzione”) agli interessi corrisposti a banche residenti nel Regno Unito. Come noto, in base all’Esenzione, non sono soggetti a ritenuta gli interessi su finanziamenti a medio e lungo termine concessi da banche residenti nell’Unione Europea (“UE”) o da “investitori istituzionali esteri”, soggetti a vigilanza, localizzati in Stati che garantiscono un adeguato scambio di informazioni.

In particolare, l’AdE ha escluso l’applicabilità dell’Esenzione a seguito dell’uscita del Regno Unito (“UK”) dall’UE a decorrere dal 1° gennaio 2021. Secondo l’AdE, peraltro, le banche UK non possono essere parificate alle banche UE, ai fini dell’Esenzione, nemmeno alla luce del Trade and Cooperation Agreement il quale promuove importanti forme di partenariato tra Unione Europea e UK. Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che “…in nessun caso tale Paese può essere considerato al pari di uno Stato membro, non facendo ormai più parte né del mercato unico, né dell’Unione doganale e non essendo più coinvolto negli accordi internazionali dell’Unione…”. Le banche UK riceveranno il medesimo trattamento fiscale riconosciuto ad oggi a tutte le altre Banche stabilite in Paesi Terzi.

In relazione alla risposta è opportuno effettuare alcune considerazioni.

In primo luogo, la Risposta in commento sembra “chiudere il cerchio” sulla questione dell’applicabilità dell’Esenzione alle banche UK. La questione era stata peraltro già esaminata con il Principio di diritto n.9 del 6 aprile 2021. In tale sede, l’AdE aveva riconosciuto applicabile l’esenzione ex art 26, comma 5-bis, solo con riguardo a quelle operazioni che avevano avuto luogo tra il 1° febbraio 2020 e il 31 dicembre 2020, ossia nel c.d. “periodo transitorio” di uscita del UK dall’UE. Durante tale periodo, ai sensi dell’art. 127 dell’Accordo di recesso, la normativa e le procedure UE in materia di libera circolazione delle persone, dei servizi, dei capitali e delle merci avevano mantenuto la propria vigenza in UK. Coerentemente, la risposta in questa sede esaminata, in ragione del decorso del periodo transitorio, qualifica le banche UK come banche non UE.

Nella risposta in esame, peraltro, l’AdE risolve la discussa questione relativa alla possibilità di qualificare le banche non UE come “investitori istituzionali”. L’Esenzione infatti trova applicazione, inter alia, sia con riferimento alle banche UE, sia con riferimento agli “investitori istituzionali esteri”, localizzati in Stati che garantiscono un adeguato scambio di informazioni. Si poneva il problema di stabilire se una banca non UE (come tale esclusa dall’Esenzione) potesse beneficiare dell’Esenzione in quanto “investitore istituzionale”): La questione è stata molto dibattuta in dottrina in passato (cfr. inter alia, M. GUSMEROLI, “Questioni aperte in tema di esenzione su interessi da finanziamenti a medio e lungo termine - Art. 26, comma 5-bis, del D.P.R. n. 600/1973”, in Boll. Trib., 2017, 1; ibidem, “Prime considerazioni in merito al nuovo regime di esenzione da ritenuta su interessi da finanziamenti a medio lungo termine”, ivi, 2014, 15-16; L. ROSSI - M. AMPOLILLA, “La risoluzione 29 settembre 2016, n. 84/E e i dubbi che ancora permangono sui presupposti per l’applicazione dell’esenzione di cui all’art. 26, comma 5-bis, del D.P.R. n. 600/1973”, ivi, 2016, 21).

Secondo alcuni, gli istituti di credito non UE sarebbero stati ab origine esclusi dall’ambito applicativo della norma (la quale fa esplicito riferimento agli enti creditizi UE). Era stato sostenuto, al riguardo, che la mancata ricomprensione di tali soggetti nell’ambito applicativo della norma determinerebbe una restrizione della libertà di circolazione dei capitali, ex art. 63 TFUE, garantita, come noto, anche ai soggetti non UE.

Secondo altri, gli enti creditizi extra UE, avrebbero potuto essere ricompresi nell’Esenzione in quanto investitori istituzionali esteri. Al riguardo, era stato evidenziato che l’art. 26 Dpr. 600/1973 è stato introdotto precedentemente al 1993. In base alla clausola di cd. “standstill” ex art. 64 TFUE, l’eventuale discriminazione potrebbe dunque rimanere in vigore.

La risposta in esame, escludendo le banche UK dall’Esenzione in quanto non UE, conferma la prima impostazione. L’AdE ritiene- in particolare che  “…qualora il legislatore avesse voluto estendere l'esenzione in argomento alle banche extra-UE lo avrebbe fatto espressamente, anche con riferimento specifico a tale categoria di enti…”. Inoltre, “…non è possibile, in sede interpretativa, ampliare l'ambito soggettivo di applicazione della norma alle banche extra UE, in ragione della circostanza che le norme di esenzione in materia tributaria, per effetto della loro natura derogatoria di carattere speciale, sono di stretta interpretazione…”.

La motivazione fornita dall’AdE si fonda sul principio, comunemente accettato, di “stretta interpretazione delle norme agevolative”. Tale principio è stato in effetti confermato in molteplici occasioni dalla Corte di Cassazione (cfr., inter alia, Cass. 5570/2011, 6234/2012, 5697/2014; contra però 27016/2017).

L’argomentazione in esame potrebbe tuttavia essere messa in discussione alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2017. Il caso esaminato verteva sulla legittimità o meno dell’esclusione delle società di intermediazione finanziaria dall’agevolazione di cui all’art. 15 del d.P.R. n. 601 del 1973. Tale norma prevede, in estrema sintesi, che le operazioni di finanziamento a medio e lungo termine effettuate dalle banche siano esenti dall’imposta di registro, dall’imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali e dalle tasse sulle concessioni governative. In tale sentenza, la Corte Costituzionale ha in estrema sintesi affermato l’ammissibilità dell’interpretazione estensiva delle agevolazioni tributarie (cfr. sul punto l’esame di FEDELE A., “La sentenza della Corte Costituzionale come “rimedio” al rifiuto dell’estensione analogica” in Riv. Dir. Trib., 2018, 4; “La Cassazione e l’interpretazione delle norme di agevolazione tributaria; primi segnali di un nuovo orientamento?”, in Riv. Dir. Trib. on line 20 novembre 2018). Alla luce di tale principio di ammissibilità dell’interpretazione estensiva affermato dalla Corte Costituzionale si potrebbe forse valutare un possibile superamento della tesi sostenuta dall’AdE nella risposta in esame, estendendo l’Esenzione, riconosciuta alle banche UE anche alle banche non UE, nella loro qualità di investitori istituzionali.

A prescindere dalla questione esaminata, vi sono ancora alcune questioni sulla portata applicativa dell’Esenzione in merito alle quali sarebbe opportuno un chiarimento.

Rimane ad esempio incerto il trattamento applicabile ai finanziamenti erogati da una stabile organizzazione localizzata in un Paese della UE di un ente creditizio ubicato in UK. La norma, come detto, fa riferimento a “enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’Unione Europea.”. Il riferimento, quindi, non è alla sede legale dell’ente ma al luogo di stabilimento, anche per il tramite di una succursale. Pertanto, è ragionevole ritenere che la parola “stabiliti” richiami anche la nozione di stabile organizzazione. L’esenzione in esame dovrebbe dunque spettare anche agli enti creditizi residenti in Stati extra UE, ma aventi stabile organizzazione negli Stati membri dell’UE.

La medesima questione si pone, specularmente, per i finanziamenti erogati da branch UE di una banca residente in UK (o comunque non UE). In tale ipotesi, l’Esenzione non dovrebbe applicarsi.

Per completezza, l’uscita del UK dall’UE potrebbe riverberare importanti ripercussioni sulle compagnie di assicurazioni inglesi. L’Esenzione infatti spetta solamente alle “imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell’Unione europea”. In primo luogo, si pone il problema di stabilire se possa considerarsi tale una impresa di assicurazione “costituita e autorizzata” in base alla normativa in UK, quando quest’ultimo era ancora parte dell’UE. Anche sul punto sarebbe opportuno un chiarimento. Inoltre, ammettendo l’esclusione delle imprese di assicurazione UK, occorrerebbe in ogni caso stabilire se la norma possa trovare applicazione con riferimento alle imprese di assicurazione inglesi stabilite nell’UE. Il tenore letterale della norma sembra deporre contro tale conclusione. In ogni caso, sempre sulla base del tenore letterale della norma, l’esenzione dovrebbe invece trovare applicazione per le imprese di assicurazione costituite nell’UE, ma stabilite in UK.

F.N. – G.G.

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