Global minimum tax e diritto dell’Unione Europea

14 Febbraio 2022

Il 22 dicembre 2021, la Commissione europea ha varato una proposta di direttiva che introduce nell’Ue la cd. “Global Minimum Tax” (”GMT”) adottata in ambito OCSE nello storico accordo dell’8 ottobre 2021 (“Proposta”).

La base giuridica della proposta di direttiva è l’articolo 115 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Dunque, la proposta dovrà essere approvata all’unanimità da parte del Consiglio e acquisire il parere del Parlamento e del Comitato economico e sociale. La direttiva approvata dovrà quindi essere recepita dagli Stati membri. Nelle intenzioni, la nuova disciplina dovrebbe trovare applicazione già dal 2023.

Il testo della direttiva ripropone nella sostanza il contenuto del documento Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy - Global Anti-Base Erosion Model Rules (Pillar Two). Tale documento approvato dal Committee on Fiscal Affairs dell’OCSE il 14 dicembre 2021.

La principale novità della Proposta, rispetto al Pillar 2, è rappresentata dall’applicabilità della GMT anche ai gruppi nazionali. Tale previsione si è resa necessaria al fine di evitare che l’applicazione della GMT determinasse una violazione della libertà di stabilimento. In assenza di tale obbligo vi fosse questo obbligo, i Gruppi solo nazionali si troverebbero in una inusitata posizione di vantaggio rispetto ad entità operanti nello stesso territorio ma soggette alla tassazione aggiuntiva della GMT - sia pure solo nel Paese della Capogruppo - per il solo fatto di appartenere ad un Gruppo operante in più di un Paese.

La soluzione adottata nella proposta risolve alla radice il problema della eventuale incompatibilità della GMT con la libertà di stabilimento.

Occorre tener presente che la GMT si fonda su di un meccanismo di sostanziale “imputazione per trasparenza” dei redditi delle controllate estere non soggette a congrua tassazione in capo alla controllante di ultimo livello. Tale meccanismo è sostanzialmente assimilabile, seppur con sostanziali differenze, a quello applicato nella maggior parte degli ordinamenti in base alla disciplina in tema di cd. “controlled foreing companies”/”CFC” (cfr., in Italia, l’art. 167 TUIR). Di fatto, il Pillar 2 rappresenta una evoluzione della disciplina CFC focalizzata all’attrazione nello Stato di residenza dei ricavi relativi alle attività digitali o comunque alle attività svolte mediante l’impiego rilevante di intangibles ad alto valore facilmente localizzabili in Stati a fiscalità agevolata.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella celebre sentenza del 12 settembre 2006, Causa C-196/04, Cadbury Schweppes ha sancito che, in linea di principio, la disciplina CFC determina una violazione della libertà di stabilimento. Tale violazione può dirsi giustificata solamente nelle ipotesi in cui la disciplina in questione colpisce strutture di puro artificio.

La GMT, così come elaborata all’interno del Pillar 2, colpirebbe invece tutti i redditi delle entità estere non soggette a congrua tassazione, a prescindere dall’effettività dell’attività svolta. In astratto, la GMT avrebbe dunque potuto incidere su costruzioni non di puro artificio. Ciò avrebbe determinato una potenziale violazione del diritto unionale.

Peraltro, tale potenziale incompatibilità avrebbe potuto venir meno in ragione del fatto che la GMT, come concepita nel Pillar 2, prevede un carve out parametrato sul valore degli asset materiali e del costo del lavoro. Tale carve out non permette infatti di preservare i redditi delle costruzioni effettive, non di puro artificio, della GMT. Infatti, l’effettività di un’entità estera non è solamente una conseguenza degli asset materiali di cui essa stessa dispone. Ben vi possono essere strutture effettive, non di puro artificio, caratterizzate da una limitata dotazione di asset materiali. Tali strutture possono essere titolari di redditi significativi (basti pensare ad esempio alle holding oppure alle IP companies). In tali ipotesi, il carve out di cui al Pillar 2 permetterebbe di sottrarre alla GMT una quota reddituale limitata, con conseguente assoggettamento ad imputazione per trasparenza della maggioranza dei redditi dell’entità estera non di puro artificio. Tale circostanza avrebbe potuto determinare, alla luce della giurisprudenza unionale, una violazione della libertà di stabilimento.

L’estensione da parte della Proposta della GMT anche alle costruzioni nazionali permette di superare in radice tale problematica. Infatti, applicando la GMT anche alle costruzioni nazionali dovrebbe essere preclusa ab origine la sussistenza di una discriminazione e, di conseguenza, la violazione della libertà di stabilimento. Ciò a prescindere dal fatto che la GMT colpisca o meno le costruzioni di puro artificio o effettive.

F.N.

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