Neutralità fiscale della trasformazione delle associazioni professionali in STP secondo la delega fiscale

La delega di riforma fiscale annovera, nel suo contenuto, un progetto di riforma e razionalizzazione dei criteri di determinazione del reddito professionale. In questo ambito si inseriscono le disposizioni che riguardano le operazioni di aggregazione e riorganizzazione di studi professionali e la trasformazione delle associazioni professionali in società tra professionisti (“STP”).

Il riferimento è all’art. 5, c. 1, lett. f), n. 1.4, che stabilisce, per le operazioni suindicate, il principio della neutralità fiscale. La disciplina che dovrebbe derivare dai provvedimenti di attuazione della delega è finalizzata a colmare un acclarato vuoto normativo, nell’alveo del quale si sono susseguite contrastanti interpretazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate e dalle associazioni di categoria.

Sul punto, il principale documento interpretativo di prassi erariale sembra identificarsi nella risposta ad interpello n. 107/2018 dell’Agenzia delle Entrate. In essa veniva trattato il caso di un’associazione professionale, costituita tra commercialisti e revisori, che intendeva continuare ad esercitare l’attività con una STP, nella forma di società in accomandita semplice. Per questo venivano proposte all’Agenzia due strade alternative:

  • La trasformazione dell’associazione professionale in STP;
  • Il conferimento dell’associazione professionale in una neocostituita STP.

Con riguardo alla prima operazione, l’Ufficio ha specificato che alla trasformazione dell’associazione professionale in STP non si applica l’art. 170 TUIR (che in tema di trasformazioni omogenee prevede un generale principio di neutralità fiscale) ma si applica l’art. 171, c. 2, che regola gli effetti fiscali della trasformazione eterogenea, vale a dire quella che determina il passaggio da un ente non commerciale ad un soggetto passivo IRES.

Si applica l’art. 171 in quanto l’associazione professionale è equiparata, dall’art. 5 TUIR, ad una società semplice, non esercente quindi attività commerciale.

L’effetto dell’art. 171, c. 2, è quello di equiparare, tramite una finctio iuris, la trasformazione eterogenea ad un conferimento di beni sotto il profilo fiscale; quindi l’operazione è realizzativa, in estrema sintesi, per applicazione dell’art. 9 TUIR. Conseguentemente, poiché il soggetto che si trasforma (o il soggetto conferente, adottando la terminologia propria della suddetta finzione) svolge prevalentemente l’attività di lavoro autonomo, deve farsi applicazione dell’art. 54 TUIR. la trasformazione dell’associazione professionale in STP determinerà la tassazione delle plusvalenze latenti sui beni strumentali (comma 1-bis) e la tassazione a valore normale dei beni non strumentali e dei crediti conferiti (art. 9, comma 2).

In definitiva, la trasformazione soggiace agli stessi oneri fiscali che caratterizzano l’ipotesi del conferimento dell’associazione professionale in una neocostituita STP.

La soluzione data dall’Agenzia in questa risposta ad interpello è stata apertamente criticata: una parte della dottrina ritiene infatti che l’Agenzia delle Entrate, nella sua ricostruzione, abbia omesso di considerare la stretta correlazione tra l’art. 171, c. 2 e l’art. 67 TUIR (che appronta la disciplina fiscale dei redditi diversi): alla lettera n) del comma 1 di quest’ultima norma si afferma che costituiscono redditi diversi “le plusvalenze realizzate a seguito di trasformazione eterogenea di cui all'articolo 171, comma 2, ove ricorrono i presupposti di tassazione di cui alle lettere precedenti”; sennonché il primo periodo dell’art. 67 afferma espressamente che non sono redditi diversi quelli che “sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni”. La lettura congiunta di tali norme porterebbe ad escludere la tassabilità della trasformazione in oggetto. La censura in argomento, tuttavia, potrebbe non considerare che l’art. 67 si limita ad escludere l’inquadramento delle predette plusvalenze nell’alveo dei redditi diversi, ma non esclude di per sé la tassazione di dette plusvalenze (che comunque rimarrebbero attratte nell’ambito del reddito di lavoro autonomo, dato il combinato disposto degli artt. 9 e 54).

Maggiormente condivisibili sono le critiche (avanzate anche dal Consiglio nazionale dell’ordine dei commercialisti in un documento intitolato “la disciplina delle società tra professionisti” datato 2020), che ritengono priva di pregio la ricostruzione da parte dell’Agenzia delle Entrate dal momento in cui ritiene che la disciplina fiscale di tal genere di trasformazione debba essere rinvenuta nell’art. 171, c. 2. Questa norma infatti circoscrive il proprio perimetro applicativo ai casi di trasformazione eterogenea eseguita ai sensi dell’art. 2500-octies c.c., norma che tra le trasformazioni contemplate esclude quelle che riguardano le associazioni non riconosciute, quali le associazioni professionali.

Inoltre, l’art. 171, c. 2, sarebbe funzionale ad immettere nel regime del reddito d’impresa beni che precedentemente sono stati impiegati in una forma privata: circostanza che non si realizzerebbe per il tipo di ipotesi di cui stiamo trattando, in cui i beni sarebbero già immessi in un circuito economico. In altre parole, in assenza di realizzo o di destinazione dei beni a finalità diversa rispetto a quella originariamente attribuita dal contribuente, la trasformazione di uno studio professionale non determinerebbe un presupposto impositivo.

In estrema sintesi emerge che la disciplina della trasformazione dell’associazione professionale in una STP non ha una univoca disciplina dal punto di vista fiscale e la legge delega interverrebbe proprio su questo profilo, approntando una normazione specifica e prevedendo un regime di neutralità fiscale per l’operazione, in linea con quanto richiesto dall’utenza.

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