L’art. 6 della bozza di disegno di legge delega fiscale, nell’ambito dei principi e criteri direttivi di revisione dell’IRES, prevede inter alia la “definizione delle perdite finali ai fini del loro riconoscimento secondo i principi espressi dalla giurisprudenza eurounitaria”. Come indicato nella relazione illustrativa, il fine è quello di recepire l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza Marks & Spencer del 13 dicembre 2005, causa C-446/03. Il principio contenuto in tale sentenza è stato successivamente ribadito e ampliato in ulteriori pronunce (cfr. ad es. la sentenza del 21 febbraio 2013, causa C-123/11, A Oy la sentenza del 12 giugno 2018 causa C-650/16 (Bevola), e, da ultimo, la sentenza W. AG del 22 settembre 2022, resa nella causa C-538/20). In estrema sintesi, secondo la Corte di Giustizia, agli Stati membri sarebbe fatto l’obbligo di riconoscere le perdite “maturate” in altri ordinamenti laddove si tratti di perdite “definitive” (cd. “final losses”). Ad esempio, dunque, in caso di incorporazione di un soggetto estero, lo stato di residenza dell’incorporante sarebbe obbligato a riconoscere le perdite maturate dal soggetto incorporato solo laddove queste siano qualificabili come “finali”. A tal fine, è necessario che il soggetto abbia terminato le proprie attività commerciali attraverso la cessione o l’eliminazione di tutti i propri asset potenzialmente produttivi di ricavi e che la medesima società non possa essere ceduta a terzi, nell’ambito di una compravendita il cui prezzo tenga conto del valore fiscale delle perdite. La delega fiscale sembrerebbe intervenire in ordine a tale ipotesi, recependo esplicitamente l’orientamento in esame nell’ordinamento italiano. In particolare, occorrerebbe chiarire in maniera dettagliata, sulla base delle indicazioni fornite dalla CGUE, i presupposti in presenza dei quali le perdite in questione si considerano finali e come calcolare in tal caso l’ammontare fiscalmente rilevante di tali perdite. Per completezza, occorre segnale un’ulteriore tematica non contemplata dal disegno di legge delega, in merito alla quale sarebbe opportuno un intervento del legislatore delegato. Si tratta dell’utilizzabilità delle perdite maturate in altre giurisdizioni e potenzialmente acquisite da un soggetto residente a seguito di una operazione cd. “in entrata” (ad es. fusione per incorporazione di società straniera). A ben vedere, in tal caso, non si tratterebbe di “perdite finali” in quanto il compendio aziendale acquisito continuerebbe ad operare successivamente alla fusione. Né d’altra parte è possibile rinvenire nella giurisprudenza eurounitaria indicazioni dirimenti in relazione a tale fattispecie. La CGUE si limita a precisare l’obbligo di riconoscimento delle final losses, senza vincolare il legislatore nazionale in merito alle perdite non definitive. Il regime applicabile in tale ipotesi non è mai stato chiarito né dall’Amministrazione finanziaria, a quanto ci risulta, né dal legislatore italiano. Nella prassi, in passato, si tendeva a risolvere la questione sulla base delle indicazioni contenute nella risoluzione n. 345/2008. La risoluzione concerneva il trasferimento in Italia della sede legale di una società holding lussemburghese che aveva maturato perdite pregresse in regime di fiscalità privilegiata. Nella risoluzione in esame, dunque, l’Amministrazione escludeva il riporto di tali perdite nonostante queste avessero già fatto il proprio “ingresso” nell’ordinamento italiano mercè l’applicazione della CFC. In ragione di ciò, si tendeva ad affermare che tale riporto delle perdite, a fortiori, doveva essere precluso nell’ipotesi di soggetti non CFC. Recentemente, nella Circolare 18/2021, l’Agenzia delle Entrate, ha modificato la propria posizione con riferimento ai soggetti CFC, riconoscendo in tale ipotesi il riporto delle perdite. In questo contesto non è pertanto chiaro il regime applicabile alle perdite maturate all’estero che fanno il loro ingresso nell’ordinamento italiano. Prudenzialmente, nella prassi, si tende ad escluderne la riportabilità. Ciò anche alla luce della recente risposta a interpello n. 11/2019, ove l’Agenzia ha subordinato il giudizio di non abusività di una operazione di incorporazione di una società lussemburghese al presupposto che tale società incorporata non presentasse posizioni fiscali riportabili in Italia. Ad ogni modo, sarebbe opportuno un chiarimento del legislatore delegato sul punto. G.P.