Ibridi inversi esteri: le prospettive di riforma nella bozza di delega fiscale

4 Aprile 2023
,

Il DDL approvato dal Consiglio dei Ministri in data 15 marzo 2023, prevede inter alia, la “razionalizzazione in materia di qualificazione fiscale interna delle entità estere prendendo in considerazione la loro qualificazione di entità fiscalmente trasparente ovvero fiscalmente opaca operata dalla pertinente legislazione dello Stato o territorio di costituzione o di residenza fiscale”.

La questione riguarda il fenomeno noto nella prassi internazionale come “hybrid entities” o entità ibride.

Si suole distinguere al riguardo tra entità ibride dirette o inverse.

Con il termine “entità ibride dirette” si suole indicare quelle società estere che, nello Stato di residenza, sono considerate opache e che, al contrario, sono considerate trasparenti nello Stato di localizzazione del socio. Gli effetti fiscali che possono derivare dall’utilizzo delle entità ibride “dirette” possono essere di “doppia deduzione” o di “deduzione senza inclusione”. Il primo caso si verifica nel caso di componente negativo sostenuto nello Stato di residenza dalla società ivi opaca. In tal caso, il componente negativo sarà deducibile, oltre che nello Stato di residenza della società, anche nel caso di residenza del socio. Il secondo caso si può verificare nel caso di pagamento effettuato dal soggetto ibrido, opaco nello Stato di residenza, al proprio socio il cui Stato qualifica l’entità come trasparente. In tale ipotesi a fronte della deduzione del componente negativo secondo le regole ordinarie, si verificherà una mancata inclusione del componente di reddito nella base imponibile del socio. Con riferimento all’ordinamento italiano, i fenomeni descritti per le società estere non si riscontrano in quanto ai sensi dell’art. 73, c. 1, lett. d) tutti gli enti non residenti sono indistintamente considerati soggetti IRES (dunque gli enti esteri, ai fini del socio italiano non sono mai trasparenti).

Diversamente, per “entità ibride inverse” devono intendersi quelle società estere che sono considerate trasparenti nello Stato di residenza, ma qualificate come opache nello Stato di localizzazione del socio. In tale ipotesi, si potrebbe verificare un fenomeno di arbitraggio fiscale (deduzione/non inclusione) laddove i) un soggetto del gruppo effettui un pagamento a favore dell’entità ibrida inversa; ii) lo Stato estero non tassi i proventi in capo all’ ente trasparente ivi residente; iii) lo Stato italiano non tassi fino alla distribuzione i proventi conseguiti dall’ente estero in quanto opaco (salvo il caso di applicazione della disciplina CFC).

Attualmente, il fenomeno in esame può essere contrastato con la disciplina relativa ai disallineamenti da ibridi (cfr. articoli da 6 a 11 del Decreto legislativo 29 novembre 2018, n. 142). In estrema sintesi, la disciplina in esame consente l’inclusione del componente positivo nella base imponibile del socio. Ciò salvo che lo Stato di residenza dell’entità ibrida inversa non applichi di per sé la disciplina di contrasto agli ibridi[1].

In tale contesto, non è perfettamente chiaro in quale direzione si muoverà la riforma fiscale, se approvata.

La Relazione illustrativa chiarisce che “il criterio direttivo intende rimuovere tale criticità anche mediante l’eventuale adeguamento della qualificazione fiscale interna della entità estera (i.e. entità fiscalmente trasparente o fiscalmente opaca) in dipendenza della corrispondente qualificazione adottata dal suo Stato di costituzione o di residenza fiscale”.

Dunque, sembrerebbe che il futuro eventuale legislatore delegato si dovrebbe impegnare a rimuovere in radice il fenomeno delle società ibride inverse, recependo la qualificazione dello Stato di residenza della società. Con ciò precludendo in radice l’applicazione della disciplina anti ibridi.

Con riserva di ulteriori approfondimenti, una ulteriore direttiva di sviluppo potrebbe riguardare il caso in cui l’utile della società ibrida inversa sia distribuito al socio italiano (con tassazione in Italia in capo a quest’ultimo). La norma non chiarisce al riguardo se in tal caso la disciplina anti ibridi debba o meno trovare applicazione.

La questione è stata invero esaminata dalla Circolare 2/2022. Quest’ultima esclude l’applicazione della disciplina anti ibridi nel caso in cui “vi sia una stretta relazione tra dette distribuzioni ed i componenti positivi di reddito associati al disallineamento da ibridi”. A tal fine, è necessaria la sussistenza dei seguenti elementi: i) esistenza di un obbligo statutario di attribuzione di tutti gli utili dell’entità ibrida inversa direttamente all’investitore; ii) assenza di qualsivoglia intervento o deliberazione da parte degli organi di governance che attribuiscano alla distribuzione carattere di discrezionalità; iii) la distribuzione deve essere effettuata almeno una volta l’anno.

Il Legislatore delegato potrebbe disciplinare espressamente tale ipotesi. Si potrebbero a tal fine recepire le indicazioni contenute nella citata Circolare, eventualmente anche a tal di là dei rigidi criteri formali previsti dall’Agenzia delle Entrate. In tal modo, si potrebbe preservare, quantomeno in tali ipotesi, l’opacità del soggetto estero, in assenza di fenomeni di arbitraggio fiscale.

F.N.


[1] Cfr. Circolare 2/2022: “ipotizzando che un soggetto passivo italiano effettui un pagamento a favore di un’entità ibrida inversa costituita in uno Stato estero, con effetto di deduzione senza inclusione, non dovranno applicarsi le norme di reazione qualora nello Stato di costituzione dell’entità ibrida inversa sia in vigore ed efficace una disposizione analoga a quella dell’articolo 9 del Decreto ATAD che rende la stessa autonomo soggetto passivo d'imposta ivi soggetto a tassazione”.

cross