Carried interest: la presunzione non si applica alla remunerazione in natura

11 Aprile 2023

L’Agenzia delle entrate, nell’ambito della risposta a interpello n. 249 del 13 marzo 2023, ribadisce che la disciplina del carried interest di cui all’art. 60 del decreto legge n. 50 del 2017, non trova applicazione in relazione all’assegnazione degli strumenti partecipativi. Tale ultima fattispecie, infatti, comporta l’emersione in capo al soggetto assegnatario di un reddito di lavoro dipendente o assimilato, da quantificarsi nella misura pari alla differenza tra il valore di mercato del titolo e (l’eventuale) prezzo pagato dal dipendente.

Come noto, ai sensi dell’art. 60 del decreto legge n. 50 del 2017 “I proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio percepiti da dipendenti e amministratori di tali società, […] se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati, si considerano in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi se:

  1. l'impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori […], comporta un esborso effettivo pari ad almeno l'1 per cento […] del patrimonio netto [della] di società […] (“Investimento Minimo”);
  2. i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari aventi i suindicati diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all'organismo di investimento collettivo del risparmio abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell'investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo (“Hurdle Rate”);
  3. le azioni, le quote o gli strumenti finanziari aventi i suindicati diritti patrimoniali rafforzati sono detenuti dai dipendenti e amministratori […] per un periodo non inferiore a 5 anni o, se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione (“Holding Period”)”.

In altri termini, al ricorrere dei menzionati requisiti, il rendimento degli strumenti finanziari partecipativi assegnati ai dipendenti o ai managers, si qualifica come reddito di capitale o diverso e non già come reddito da lavoro dipendente o assimilato (“Presunzione”). In virtù della Presunzione, pertanto, i proventi derivanti dagli strumenti finanziari partecipativi sono assoggettati ad un regime fiscale più vantaggioso (ritenuta a titolo di d’imposta o imposizione sostitutiva al 26%) rispetto a quello ordinariamente applicabile ai redditi di lavoro dipendente (aliquota marginale).

La fattispecie posta al vaglio dell’Agenzia delle entrate inerisce un piano di performance shares implementato da una società (“Alfa” o “Istante”) in favore del proprio amministratore delegato e altri dirigenti apicali. In buona sostanza il piano di incentivazione del management prevede l’attribuzione ai beneficiari, a titolo gratuito, di un certo numero di azioni proporzionatoalle azioni Alfa già detenute e agli obiettivi raggiunti da ciascun manager. L’assegnazione delle azioni avverrebbe decorsi 5 anni dall’implementazione del piano (o, in via anticipata, in caso di acquisizione del controllo della società da parte di soggetti terzi) e a condizione che, durante tale periodo, non sia intervenuta l’interruzione del rapporto di lavoro per licenziamento del potenziale beneficiario per giusta causa.

In merito a quanto rappresentato, Alfa si domanda se i redditi derivanti dalla partecipazione al piano di performance shares ed al trasferimento di azioni ai relativi beneficiari costituiscano redditi di lavoro dipendente o redditi di natura finanziaria (redditi di capitale e redditi diversi). Sul punto l’Istante, ritenendo che la fattispecie in esame sia assimilabile alla disciplina dell'articolo 60 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, afferma che l'assegnazione delle azioni all'amministratore delegato ed ai manager costituisca in capo ai beneficiari, un reddito di natura finanziaria.

L’interpellata Agenzia delle entrate esclude recisamente la riconducibilità del caso in esame alla fattispecie disciplinata dal predetto art. 60 del decreto legge n. 50 del 2017. L’Ufficio, infatti, richiamando la circolare n. 25/E del 2017, precisa che “la presunzione legale di qualificazione del reddito come reddito di natura finanziaria opera esclusivamente in riferimento ai proventi derivanti da strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati” e non già il “il reddito derivante dalla assegnazione degli stessi”. Quest’ultimo infatti, in ossequio al principio di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente di cui all’art. 51 del TUIR, sarebbe attratto “tra i redditi di lavoro dipendente o assimilato, nella misura pari alla differenza tra il valore di mercato del titolo ed il prezzo pagato dal dipendente”.

In questo senso, l’assegnazione delle azioni al management, pur condizionata alla performance personale e societaria, non rappresenterebbe una “forma di remunerazione delle azioni ordinarie detenute dai manager e dall'amministratore delegato, né una forma di rendimento legato al possesso delle medesime in quanto non riconosciuto agli altri soci detentori dei medesimi titoli”. Conseguentemente non potrebbe trovare applicazione la Presunzione, funzionale ad agevolare gli extra-rendimenti derivanti dal possesso di azioni e strumenti finanziari partecipativi.

Mercè la risposta in commento, dunque, l’Agenzia sembra escludere l’applicabilità della Presunzione ai piani di incentivazione del management che prevedano non già una remunerazione in denaro quanto l’attribuzione di beni in natura.

G.P.

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