Ritenuta con aliquota del 1,2% su dividendi transfrontalieri: la beneficial ownership non costituisce requisito di applicazione

21 Settembre 2023
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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6090/2023, ha affermato che, in sede di pagamento dei dividendi ad una società residente nell’UE o nel SEE, ai fini dell’applicazione della ritenuta ridotta al 1,2% prevista dall’art. 27, c. 3-ter, del d.P.R. 600/1973, in luogo della ritenuta ordinaria al 26%, la disciplina non richiede la prova, da parte del contribuente, che il percettore sia il beneficiario effettivo dei proventi. L’Agenzia delle Entrate può contestare la beneficial ownership come fattore sintomatico dell’abuso del diritto ma in tali circostanze l’onere della prova ricade su di essa.

La vicenda origina da un’istanza di rimborso presentata da una società lussemburghese, che aveva percepito dividendi da parte della sua controllata italiana. Quest’ultima, in qualità di sostituto d’imposta, aveva applicato in sede di versamento la ritenuta ordinaria al 26% sicchè l’istanza di rimborso verteva al recupero della differenza tra la somma versata e quella risultante dall’applicazione dell’art. 27, c. 3-ter, del d.P.R. 600/73, disciplina potenzialmente applicabile al percettore in virtù della sua residenza fiscale in un Paese dell’Unione Europea e della sua soggezione alla locale corporate tax.

Sull’istanza si formava, da parte dell’Ufficio, il silenzio-rifiuto che veniva ritualmente impugnato presso la CTP competente. Quest’ultima accoglieva le ragioni del contribuente e la decisione veniva confermata in secondo grado. Contro la pronuncia della commissione regionale l’Agenzia delle Entrate promuoveva ricorso per cassazione, denunciando che la contribuente non aveva comprovato il suo status di beneficiario effettivo, utile all’applicazione della ritenuta ridotta, né che avesse provato di aver pagato imposte, nel suo stato di residenza, sugli utili distribuitile dalla consociata italiana.

Sotto il primo profilo, la Corte si occupa innanzitutto di indagare se, ai fini dell’applicazione della ritenuta ridotta, sia necessaria la prova di essere beneficiario effettivo, posto che per l’Ufficio non solo deve sussistere tale status ai fini dell’art. 27, c. 3-ter, ma il relativo onere probatorio deve cadere sul contribuente.

Benchè dalla narrativa della sentenza non emergano riferimenti, è bene sottolineare che la posizione tenuta dall’Ufficio si basava, con ogni probabilità, su molteplici precedenti giurisprudenziali, anche recenti (vedasi, ex multis, Cass. 17746/2021), che in tema di applicazione di ritenute ridotte su flussi transfrontalieri di dividendi, interessi e royalties hanno stabilito che l’onere della prova della beneficial ownership debba ricadere sul sostituto d’imposta residente o direttamente sul percettore, se è quest’ultimo a promuovere il giudizio. Sennonchè tale filone giurisprudenziale aveva ad oggetto le ritenute ridotte applicate in forza delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni e della direttiva Interessi-Royalties, i cui benefici presuppongono esplicitamente la sussistenza dello status di beneficiario effettivo. Discorso analogo riguarda la direttiva Madre-Figlia, nella quale la clausola del beneficiario effettivo non è espressamente contemplata: la Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto che, nell’ambito della stessa Direttiva, il presupposto della beneficial ownership rivesta il ruolo di requisito vincolante in ragione del fatto che tale clausola rientri tra i principi immanenti del diritto unionale che vogliono che il regime Madre-Figlia non si presti a fini abusivi (si veda, da ultimo, Cass. 16173/2023).

In ordine al regime di cui all’art. 27, c. 3-ter, invece, i giudici di legittimità hanno affermato che “effettivamente l’art. 27, comma 3-ter, d.P.R. n. 600/1973, non fa riferimento al requisito del “beneficiario effettivo” (…) in simili fattispecie, dunque, la contestazione della natura di effettivo beneficiario risulta strumentale ad evitare che tale disciplina, di derivazione unionale, sia oggetto di abuso da parte di soggetti che si avvalgano di creazioni artificiose, come nel caso in cui si versi in ipotesi di società costituenti mere conduit company, la cui ricorrenza però attiene all’onere probatorio dell’amministrazione deducente”.

Con tali parole, la Suprema Corte pare quindi aver identificato un discrimine tra i regimi agevolativi che postulano necessariamente la sussistenza della beneficial ownership ed il regime di cui all’art. 27, c. 3-ter, che, per l’appunto, non reca tale requisito, sicchè deve escludersene la necessarietà ai fini dell’applicazione della ritenuta ridotta. A supporto di tale conclusione vi sono le considerazioni mosse sul tema dell’onere probatorio, giacchè la diversa ricaduta di quest’ultimo sull’Amministrazione finanziaria (e non già sul contribuente, come emergeva negli altri arresti) è propriamente da ricondurre all’assenza di tale presupposto tra i requisiti applicativi della ritenuta con aliquota all’1,2%. La Corte continua affermando che l’Ufficio può certamente contestare la beneficial ownership, ma tale contestazione può essere avanzata solo in chiave antielusiva: da qui la logica conseguenza che l’onere probatorio ricada sull’Ufficio, come accade per qualunque contestazione di abuso del diritto disciplinata dall’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del Contribuente. Ne dovrebbe discendere che l’Ufficio, per contestare l’abuso della norma agevolativa, dovrebbe provare, congiuntamente al difetto di sostanza economica del percipiente, anche l’indebito vantaggio fiscale ritratto dalla fruizione illecita del beneficio.

Nel caso concreto, tenuto conto del fatto che l’amministrazione non avesse allegato elementi probatori utili alla contestazione elusiva, la Corte di Cassazione ha respinto il motivo di censura con tale affermazione: “mancano dunque nella specie elementi che dimostrino come la società percipiente abbia costituito un mero strumento, privo di ragioni economiche specifiche che non sia lo sfruttamento di vantaggi fiscali (in rapporto al trattamento fiscale dell’eventuale beneficiario effettivo)”.

Quanto al secondo profilo di censura, la Cassazione ha specificato che ai fini dell’applicazione della ritenuta ex art. 27, c. 3-ter, il requisito dell’assoggettamento alla locale imposta sul reddito delle società deve intendersi nei termini di astratta assoggettabilità (c.d. liability to tax) e non nei termini di effettivo esborso di imposte (c.d. subjection to tax). La prova di tale presupposto deve essere fornita dal contribuente e, nella fattispecie, tale prova è stata ritenuta assolta a fronte della produzione del certificato di residenza fiscale rilasciato dall’Amministrazione finanziaria dello Stato di residenza del percettore. Rigettato, per l’effetto, anche tale motivo di ricorso, la Suprema Corte ha quindi confermato la sentenza di secondo grado, integralmente favorevole alla contribuente circa la propria istanza di rimborso.

A.P.

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