Incentivo al reshoring: misura buona ma tante questioni aperte

26 Ottobre 2023
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Il decreto in tema di fiscalità internazionale, la cui bozza è stata approvata in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 16 ottobre scorso, prevede una detassazione pari al 50% dell’imponibile IRES e IRAP per le imprese non UE/SEE che trasferiscono la loro attività nel territorio italiano.

Nel dettaglio, la norma prevede che “[al]fine di promuovere lo svolgimento nel territorio dello Stato italiano di attività economiche, i redditi derivanti da attività di impresa e dall’esercizio di arti e professioni esercitate in forma associata, svolte in un Paese estero non appartenente all’Unione europea o allo Spazio economico europeo, trasferite nel territorio dello Stato, non concorrono a formare il reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e il valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive per il 50 per cento del relativo ammontare nel periodo di imposta in corso al momento in cui avviene il trasferimento e nei cinque periodi di imposta successivi”.

Al fine di beneficiare dell’agevolazione in esame è necessario non aver svolto in Italia attività di impresa nei 24 mesi precedenti al 2024.

E’ previsto un meccanismo di recapture per le imprese che trasferiscano la loro attività in uno Stato non UE/SEE nel periodo di durata dell’agevolazione e nei cinque anni successivi.

L’efficacia della misura è subordinata al parere favorevole della Commissione UE.

Il reshoring: un trend mondiale

La misura in esame trova il proprio fondamento in una tendenza delle imprese, ravvisabile a livello mondiale, al reimpatrio nello Stato di origine di attività precedentemente delocalizzate.

Diversi studi hanno analizzato il fenomeno del reshoring in Europa. Una delle ricerche di maggiore interesse è stata realizzata nel periodo 2015-18 dall’European Reshoring Monitor che ha registrato 253 casi di reshoring. Nel periodo oggetto di analisi Francia, Regno Unito e Italia hanno registrato il numero maggiore di rimpatri di produzioni. Secondo le elaborazioni del Centro Studi Confindustria (su banca dati Fratocchi et al) in effetti, nel periodo 2000-20 i casi di reshoring in Europa erano stati 833 e sembra utile rilevare che tra le aree ove erano state precedentemente delocalizzate le produzioni poi rimpatriate, l’Asia rappresentava la principale area (380) seguita però dall’Europa stessa (362), a conferma del fatto che in un’area come l’Europa hanno una certa rilevanza anche i fenomeni di reshoring “interni”.

Negli Stati Uniti, il fenomeno di reshoring è stato oggetto di specifici interventi legislativi, in particolare tramite inclusione nel Blue-print dell'Amministrazione Obama (The White House, 2012), che ha avviato una politica industriale basata sul back to manufacturing, non a caso teorizzato da alcuni studiosi di Harvard, e alla Reshoring Initiative di Harry Moser (www.reshorenow.org). L'amministrazione Trump ha utilizzando, in maniera secca ed istantanea la leva fiscale (i tagli delle aliquote aziendali dal 35 al 21 per cento), affiancata da incentivi al rimpatrio dall'estero di capitali fino a 2.600 miliardi e da una moral suasion.

Attualmente, i trend globali di revisione delle catene di fornitura a seguito della pandemia e della guerra in Ucraina e il rafforzamento del sistema di incentivi all’investimento nel corso del 2022 stanno contribuendo alla fase di crescita degli investimenti nel settore manifatturiero. Nel 2022 l’aumento degli investimenti, si è riflesso anche nella spesa per costruzioni nel settore industriale che ha raggiunto un valore di 108 miliardi di dollari rispetto ai 50 miliardi di dollari del 2008. Tra i fattori che stanno generando questa nuova fase di sviluppo industriale, oltre ai fenomeni globali, sono l’aumento dei progetti di reshoring e i nuovi Investimenti Diretti Esteri (IDE) anche legati ai sussidi federali, in particolare per il settore dei chip e del clean tech.

Il Presidente Biden, già nel mese di giugno 2022, aveva autorizzato l’impiego del Defense Production Act (DPA) per accelerare la produzione domestica di tecnologie energetiche pulite. Le due leggi successive del Chips Act e dell’Inflation Reduction Act (IRA) stanno contribuendo in maniera massiccia ai programmi di investimento. Se il primo fa particolare riferimento al settore dei semiconduttori con uno stanziamento di 39 miliardi di dollari, l’IRA prevede sino a 369 miliardi di dollari di crediti fiscali per le tecnologie pulite, contribuendo, grazie a diverse misure, a sostenere la crescita della domanda per prodotti impiegati nella produzione di energia pulita. L’effetto delle due misure è quello di dare slancio a una crescita degli investimenti nel settore dei semiconduttori (ove stavano già crescendo a causa delle difficoltà nelle catene di fornitura), dando altresì una forte spinta agli investimenti e alla produzione di clean tech negli Stati Uniti. 

Nel 2022 il settore delle attrezzature elettroniche, elettrodomestici e il settore dei componenti elettrici e il settore dei computer e prodotti elettronici hanno rappresentato il 68% dei posti di lavoro annunciati per reshoring e IDE negli Stati Uniti. Rispetto agli anni precedenti si registra un forte aumento dell’incidenza di questi settori sul totale, basti pensare che nel 2019 questi due settori rappresentavano solo 17% dei posti di lavoro annunciati. Su un totale di circa 250.000 nuovi posti di lavoro annunciati, il settore dei semiconduttori rappresentava più del 10% con circa 29.000 posti di lavoro, mentre i progetti legati al settore delle batterie avevano comportato 105.000 posti di lavoro. Rispetto agli anni precedenti si assiste a un calo dell’incidenza del settore di macchinari e dei mezzi di trasporto.

L’amministrazione Biden sembra così aver posto le basi per un processo di crescita industriale grazie all’ampliamento della capacità produttiva in settori strategici per la transizione energetica e per la sicurezza strategica (semiconduttori) nei quali attualmente gli Stati Uniti (e più in generale i Paesi occidentali) dipendono da Cina e Taiwan.

Tematiche applicative poste dalla nuova disciplina

La misura in esame si pone dunque come visto in continuità con le misure adottate da altri Stati (primi fra tutti gli Stati Uniti) al fine di favorire il reshoring delle imprese.

Negli Stati Uniti, tuttavia, gli incentivi in questione si sono concretizzati soprattutto in misure volte al rientro dei capitali e in crediti di imposta legati a determinati investimenti in energia pulita[1]. La nuova misura proposta in Italia si applica indipendentemente dal settore di riferimento e agisce direttamente sull’imponibile mercè un esclusione in misura pari al 50%.

In relazione alla disciplina in esame si pongono una molteplicità di tematiche applicative che, laddove venga ottenuto il parere favorevole della Commissione UE, dovranno essere necessariamente oggetto di chiarimento.

In primo luogo, occorrerà definire il perimetro delle attività economiche che possono beneficiare del nuovo regime. La norma fa riferimento alle attività di impresa trasferite in Italia.

Il campo di applicazione precipuo della disposizione è chiaramente il trasferimento di sede in Italia di società non residenti e soggetti svolgenti arti e professioni.

Sul punto, tuttavia, alcune incertezze si pongono nel caso in cui una società estera, con stabilimenti all’estero, trasferisca in              Italia la propria sede, permanendo all’estero una stabile organizzazione con gli stabilimenti. La norma testualmente non sembra precludere l’applicazione del regime in questione in tale fattispecie. Tuttavia, il riferimento della norma all’esigenza di avviare attività produttive in Italia suscita qualche dubbio al riguardo.

Inoltre, dovrebbero essere ragionevolmente ricomprese nel perimetro dell’agevolazione anche le holding, a prescindere dalla loro natura statica o dinamica. In generale il tema si pone in quanto occorre stabilire se per beneficiare dell’incentivo, occorra o meno costituire in Italia un’effettiva attività di impresa. Su tale ultimo punto sarebbe quanto mai opportuno un chiarimento.

Occorre inoltre chiarire se, ai fini dell’agevolazione, è necessario che si tratti di un’attività preesistente o se è sufficiente che sia un’attività di nuovo avvio in Italia da parte di un soggetto estero.

La norma, infatti, fa letteralmente riferimento al trasferimento in Italia di imprese e non alla loro costituzione.

Al riguardo, andrebbe meglio chiarita la nozione rilevante di attività preesistente, sia sotto il profilo temporale che sotto il profilo soggettivo, attribuendo rilevanza ad una valutazione di natura sostanziale.

Gli effetti di un’interpretazione letterale di tale requisito sarebbero infatti illogici. Potrebbe infatti beneficiare dell’agevolazione una newco costituita all’estero e trasferita in Italia.  Ne sarebbe invece esclusa un’attività avviata in Italia da un gruppo multinazionale operante in Italia mediante una newco.

Un’interpretazione ragionevole potrebbe essere quella di applicare l’agevolazione a tutte le attività soggette alla disciplina in tema di reddito di impresa che vengono avviate in Italia da soggetti esteri già operanti, a partire dal 2024. Tale conclusione sembra confermata anche da un passaggio della Relazione illustrativa che chiarisce che: “[f]ra le attività economiche trasferite oggetto di agevolazione rientrano anche le attività d’impresa esercitate da società appartenenti al medesimo gruppo”.

Sulla base di tale impostazione dovrebbero essere ricomprese, inter alia, le società di nuova costituzione da parte di gruppi multinazionali e le stabili organizzazioni di nuovo insediamento di soggetti non residenti.

Sarebbe altresì opportuno chiarire se possano beneficiare del regime di agevolazione in questione i veicoli di investimento costituiti per l’acquisizione di società italiane. Il tema si pone in quanto, da un lato, tali veicoli costituiscono, sotto certi profili, nuove iniziative produttive avviate in Italia da parte di soggetti multinazionali già operanti sul mercato. La ratio dell’agevolazione in questione, e cioè quella di attrarre gli investimenti esteri, suggerirebbe di attribuire rilevanza anche a tale ipotesi.

Dall’altro lato, si tratta, sotto il profilo sostanziale, di acquisizioni di imprese già presenti nel territorio dello Stato, che non comportano l’insediamenti di nuovi impianti produttivi.

In caso di risposta positiva, occorrerebbe peraltro stabilire come, in concreto, opererebbe l’agevolazione con riferimento a tali strutture. Può ad esempio tale incentivo trasferirsi all’attività della società target, magari a seguito della fusione? E’ evidente che la questione, estremamente delicata e cruciale per gli investimenti esteri nel nostro paese, necessita di maggiori specificazioni e chiarimenti.

Infine, ci si chiede entro che limiti possano beneficiare dell’agevolazione gli incrementi di impianti produttivi o commerciali già esistenti in Italia di proprietà di un Gruppo multinazionale e che incrementino la propria attività produttiva a fronte della chiusura di altri impianti extra UE da parte di società del medesimo Gruppo.

Si possono ipotizzare al riguardo vari scenari. Nel seguito ci si limita ad alcune indicazioni esemplificative.

Il primo esempio è costituito dal gruppo già operante in Italia mediante una propria controllata che decide di insediare un’ulteriore società per svolgere attività ulteriori. In tale ipotesi, sembrerebbe ragionevole applicare l’incentivo alla nuova società.

Un secondo esempio è quello di un gruppo multinazionale che dispone di una controllata italiana (svolgente ad esempio funzioni accessorie) e che decida di insediare in Italia una stabile organizzazione.

Potrebbe inoltre accadere che il gruppo decida di incrementare il profilo funzionale di un operatore economico italiano. 

Ad esempio il gruppo potrebbe decidere il trasferimento di nuove linee di produzione in un impianto preesistente localizzato in Italia.

Inoltre, potrebbe darsi che la società (o stabile organizzazione) italiana venga convertita da distributore a rischio limitato a distributore “fully fledged”, se non addirittura, trasformato in soggetto che svolge sia attività di produzione che distribuzione. Da un lato, tale conversione, concretizzandosi di fatto in un nuovo insediamento in Italia, dovrebbe, in base ad un’interpretazione conforme alla ratio della norma, poter beneficiare dell’agevolazione. Dall’altro lato, è evidente il rischio di strumentalizzazioni e arbitrii. Anche tale questione dovrà necessariamente essere ulteriormente approfondita.

Cambiando prospettiva, vi è inoltre da chiedersi se rientreranno nel perimetro dell’agevolazione le attività economiche svolte all’estero ma che fanno ingresso nell’ordinamento fiscale italiano, all’interno del “circuito d’impresa”.

Si fa ad esempio riferimento alle società estere oggetto di incorporazione da parte di una società italiana. A ben vedere, in tale ipotesi, la ratio dell’agevolazione in questione potrebbe dirsi rispettata. L’acquisizione di impianti produttivi all’estero ed il loro ingresso nell’ordinamento fiscale italiano influisce indirettamente sul sistema economico nazionale creando sinergie rilevanti.

In caso di risposta positiva, sembrerebbe comunque ragionevole escludere le stabili organizzazioni estere che beneficiano del regime di branch exemption.

Mancato esercizio dell’attività di impresa nei 24 mesi precedenti

Al fine di beneficiare dell’agevolazione in esame, occorre che non sia stata svolta attività di impresa in Italia nei 24 mesi antecedenti l’agevolazione.

Il fine di tale preclusione è quello di disincentivare i trasferimenti di impresa all’estero effettuati strumentalmente, con il solo fine di beneficiare dell’incentivo, mercè un successivo ritrasferimento in Italia.

Occorrerà a tale proposito stabilire se possano o meno beneficiare dell’incentivo gli stabilimenti insediati in Italia prima del 2024, ma che avviano l’attività produttiva a decorrere dal 2024, svolgendo, prima di tale momento attività preparatorie o di start up.

Non è chiaro, peraltro, se tale regola preclude l’agevolazione alle società già tassate in Italia in base al regime CFC.

Un altro profilo di incertezza attiene all’attività dei gruppi multinazionali presenti nei 24 mesi di cui sopra che decidono di incrementare la propria presenza in Italia.

Recapture

La bozza di decreto prevede un meccanismo di recapture laddove l’impresa venga trasferita all’estero nei cinque anni di durata dell’agevolazione, nonchè - se si è compreso correttamente il testo della norma - nei cinque anni successivi. In sintesi, il periodo di osservazione sembrerebbe pari a dieci anni (oltre all’anno di trasferimento).

A tale proposito, andrebbe stabilito se rientrino o meno nel meccanismo di recapture le ipotesi di “svuotamento”/“demansionamento” dell’impresa italiana, pur formalmente ancora presente nel territorio dello Stato.

Si fa riferimento a titolo meramente esemplificativo al trasferimento di impianti all’estero, ma anche alle eventuali riconversioni del soggetto italiano da distributore a rischio pieno a distributore a rischio limitato.

Ad ogni modo, non dovrebbe essere soggetta a recapture l’ipotesi di impresa italiana acquisita da un’impresa estera, senza distoglimento di beni dall’Italia.

Le medesime conclusioni si dovrebbero applicare nel caso di trasferimento di residenza con mantenimento della stabile organizzazione in Italia. 

Applicazione in caso di contestazioni fiscali

Consistendo in una detassazione ai fini IRES e IRAP, l’agevolazione in esame sembra essere strettamente legata all’ingresso di un’attività di impresa all’interno del circuito impositivo italiano.

Accettando tale premessa, ci si potrebbe chiedere quale potrebbe essere l’effetto di eventuali contestazioni, da parte dell’Amministrazione finanziaria italiana, che determino a vario titolo l’ingresso all’interno di tale circuito.

Si fa riferimento, ad esempio, ad una contestazione in tema di stabile organizzazione occulta. Sarebbe opportuno chiarire se la stabile organizzazione della quale viene accertata l’esistenza possa beneficiare dell’agevolazione, quantomeno nelle ipotesi in cui la branch sia stata costituita dopo il 2024.

Le medesime considerazioni valgono in caso di contestazione che accertasse, ai fini del transfer pricing, una maggiore complessità funzionale di una società con accertamento di maggiori ricavi si immagini ad esempio un produttore formalmente a rischio limitato del quale si accerti la natura “fully fledged”). Potrà l’impresa con riferimento a tali maggiori e ulteriori funzioni, quantomeno nelle ipotesi in cui queste risultino avviate dopo il 2024, beneficiare dell’agevolazione?

Osservazioni conclusive

Nel complesso la misura in questione non può che essere salutata con favore. Si tratta di un incentivo che può rivelarsi cruciale nel favorire lo sviluppo della nostra economia e la competitività del nostro “sistema Paese”.

L’applicazione pratica dell’incentivo genererà inevitabilmente notevoli complessità, frutto della infinita varietà che caratterizza l’esercizio dell’attività di impresa nelle moderne economie. In tale contesto, il testo della norma, ad oggi ancora in bozza, meriterebbe una maggiore articolazione.


[1] https://home.treasury.gov/news/press-releases/jy1830.

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