Regolarizzazione delle rimanenze: ancora ombre sul penale

Il 24 ottobre è stata resa disponibile la prima bozza del DDL Bilancio 2024. L'art 20 della bozza contiene una interessante disposizione volta alla regolarizzazione di alcune fattispecie attinenti le rimanenze di magazzino.

L’opzione può essere esercitata dagli esercenti attività d’impresa che non adottano i principi contabili internazionali, relativamente al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2023.

In particolare, la norma prevede la possibilità di adeguare, mediante il pagamento di una imposta sostitutiva, le esistenze iniziali dei beni di cui all’articolo 92 TUIR al loro valore effettivo. L’adeguamento può essere effettuato mediante l’eliminazione delle esistenze iniziali di quantità o valori superiori a quelli effettivi nonché mediante l’iscrizione delle esistenze iniziali in precedenza omesse.

L'esigenza di consentire l'adeguamento delle richiamate esistenze iniziali trova giustificazione dal riscontro di "incoerenze" nel valore dell'indice "rotazione di magazzino" che, in molti casi, possono essere fatte risalire a comportamenti fiscali anomali.

In particolare, la presenza in bilancio di rimanenze non reali potrebbe essere stata determinata dall’esigenza di migliorare i risultati di bilancio o di occultare la cessione non dichiarata dei relativi beni.

Per la medesima ragione, nell’ipotesi inversa, il contribuente potrebbe aver ridotto le proprie rimanenze sempre per ragioni contabili e fiscali.

In caso di eliminazione di valori, l’adeguamento comporta il pagamento:

a) dell’IVA, con particolari regole per determinare l’aliquota IVA media del soggetto;

b) di una imposta sostitutiva di IRPEF, IRES e IRAP, pari al 18 per cento.

La base imponibile è rappresentata dal valore delle rimanenze indicate, incrementate di un determinato coefficiente.

In caso di iscrizione di valori, l’adeguamento comporta il pagamento di una imposta sostitutiva dell’IRES, IRPEF, IRAP, in misura pari al 18 per cento da applicare al valore iscritto.

La debenza dell’IVA solo nel primo caso (i.e. l’eliminazione delle esistenze iniziali di quantità o valori superiori a quelli effettivi) si fonda sulla presunzione che tale eliminazione serva a regolarizzare la presenza in bilancio di rimanenze iniziali non più in effetti nella disponibilità dell’impresa (ad esempio per la cessione non dichiarata dei relativi beni). L’IVA è dovuta proprio in ragione di tale fictio di cessione. Ciò anche alla luce dei principi unionali che governano la materia dell’imposta sul valore aggiunto.

L’adeguamento deve essere richiesto nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta al 31 dicembre 2023.

Le imposte dovute sono versate in due rate di pari importo, di cui la prima con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative al periodo d’imposta suddetto e la seconda entro il termine di versamento della seconda o unica rata dell’acconto delle imposte sui redditi relativa al periodo d’imposta successivo.

Al mancato pagamento nei termini consegue l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo delle somme non pagate e dei relativi interessi nonché delle sanzioni conseguenti all’adeguamento effettuato.

L’adeguamento non rileva a fini sanzionatori di alcun genere. I valori risultanti dalle variazioni indicate sono riconosciuti ai fini civilistici e fiscali a decorrere dal periodo d’imposta indicato e, nel limite del valore iscritto o eliminato, non possono essere utilizzati ai fini dell’accertamento in riferimento a periodi d’imposta precedenti a quello indicato. L’adeguamento non ha effetto sui processi verbali di constatazione consegnati e sugli accertamenti notificati fino alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.

L’imposta sostitutiva non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali nonché dell’imposta regionale sulle attività produttive.

La norma in questione costituisce la riproposizione di precedenti discipline adottate in passato nel 1999 e 2003, invero con scarso successo.

Si tratta di una disposizione che determina una pluralità di problematiche applicative, già in parte presenti peraltro nelle precedenti discipline.

In primo luogo, la norma sembra applicarsi sia in caso di iscrizione che di eliminazione di rimanenze iniziali.

Da un lato, infatti, sembra possibile applicare la disciplina in questione sia con riferimento a maggiori/minori quantità di merce sia con riferimento a maggiori/minori valori.

Tuttavia, sotto il profilo letterale, la norma prevede di poter applicare l’imposta sostitutiva solo con riferimento all’indicazione di eventuali maggiori o minori valori. In passato, sulla base di una norma con un tenore letterale simile, l’Amministrazione finanziaria, nella Circolare 115 del 1 giugno 2000, aveva chiarito che:

  • L’iscrizione delle rimanenze può riguardare solo le quantità;
  • L’eliminazione delle rimanenze può riguardare sia quantità che valori.

Sarebbe opportuno un chiarimento sulla perdurante validità di tale precisazione.

Un secondo punto che meriterebbe approfondimento attiene agli effetti di una eventuale omissione nel pagamento dell’imposta sostitutiva, una volta effettuata l’opzione. Si pone il problema di stabilire se tale omissione determini solo l’eventuale iscrizione a ruolo delle somme non versate oppure il venir meno dell’opzione. La norma prevede che tale omissione determini la debenza dell’imposta e delle relative sanzioni. L’indicazione in merito alla debenza delle sanzioni sembrerebbe far propendere per l’inefficacia tout court dell’opzione in caso di mancato versamento.

Particolari criticità sorgono infine con riferimento alla protezione fornita al contribuente che eserciti l’opzione con riferimento al regime in esame. La norma precisa che l’adeguamento ha rilievo ai fini civilistici e fiscali.

Non vi sono chiarimenti in merito ai profili penali. La citata circolare 115/2000 aveva in passato previsto che gli uffici, in presenza di regolarizzazione, non dovessero inviare la notizia di reato.

Sarebbe opportuno un chiarimento in merito alla perdurante validità di tale precisazione.

In ogni caso, il mancato invio da parte del funzionario tributario della notizia di reato non permette di escludere la responsabilità penale del contribuente.

In primo luogo, infatti, le irregolarità nelle rimanenze potrebbero determinare profili di responsabilità penale ai fini del falso in bilancio o del diritto penale fallimentare. La responsabilità di tali reati non è esclusa dalla mancata comunicazione della notizia di reato da parte dell’Agenzia delle Entrate.

In secondo luogo, in astratta teoria, anche con riferimento ai reati tributari, non è escluso (seppur sia raro nella pratica) che il pubblico ministero possa perseguire autonomamente un reato fiscale a prescindere dal ricevimento della notizia di reato dall’Agenzia delle Entrate.

Appare evidente come il profilo sanzionatorio rappresenti il versante maggiormente critico della nuova disciplina in questione. Dai chiarimenti che verranno forniti dipenderà il successo della disciplina in questione.

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