Assets dei complessi aziendali trasferiti dall’estro all’Italia e CFC

29 Dicembre 2023
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Prima dell’introduzione dell’art. 166-bis del TUIR la determinazione del valore fiscale attribuibile agli assets dei complessi aziendali trasferiti dall’estero in Italia era riservata all’Amministrazione Finanziaria, secondo la quale il valore applicabile – valore storico o valore corrente – dipendeva dal regime vigente nel Paese di provenienza.

L’Agenzia applicava:

  • il criterio del costo storico nelle ipotesi – si pensi al caso di trasferimento di sede – contraddistinte dall’assenza di atti di natura traslativa dei beni da valutare e dalla necessità di garantire la continuità dei valori fiscalmente riconosciuti;
  • il criterio del valore corrente nei casi di discontinuità giuridico-tributaria e di fuoriuscita di beni dal patrimonio del soggetto passivo d’imposta, al fine di evitare fenomeni di doppia imposizione ove nello Stato estero fosse prevista, al momento del trasferimento, la tassazione dei plusvalori latenti (come nei casi di exit taxation).

Questa lacuna normativa è stata colmata dal legislatore con l’introduzione dell’art. 166-bis del TUIR che prevede una disciplina differenziata a seconda che il trasferimento avvenga da Paesi white o black list:

  • nel caso di Stato o territorio incluso nella white list (o Stato membro Ue), si deve far riferimento al valore di mercato, che sostituisce il richiamo al valore normale;
  • nel caso di soggetti provenienti da Stati o territori diversi, il valore delle attività e delle passività può essere determinato in misura pari al valore di mercato solo ove si ricorra all’accordo preventivo di cui all’art. 31-ter del DPR n. 600 del 1973. In assenza di tale accordo il valore fiscale sarà assunto:
    • per le attività: in misura pari al minore tra il costo di acquisto, il valore di bilancio e il valore di mercato;
    • per le passività: in misura maggiore tra il costo di acquisto, il valore di bilancio e il valore di mercato.

Alcuni dubbi interpretativi sono sorti, però, con riferimento all’applicabilità dell’art. 166-bis del TUIR all’ipotesi in cui una società controllata estera già assoggettata alla disciplina delle CFC trasferisca la propria residenza fiscale in Italia. Il dubbio concerne il valore fiscale da attribuire alle attività/passività della società divenuta residente: se queste debbano, cioè, essere assunte in misura pari al valore di mercato (ex art. 166-bis) o in continuità con i valori già presi a riferimento ai fini dell’applicazione del regime di trasparenza determinati sulla base dei dati di bilancio.

Disciplina CFC

L’attuale versione dell'art. 167 del TUIR prevede l’imputazione in capo al soggetto residente di tutti i redditi del soggetto controllato non residente qualora quest’ultimo:

  1. sia assoggettato a tassazione effettiva inferiore alla metà rispetto a quella a cui sarebbe stato soggetto se fosse stato residente in Italia (art. 167, co. 4, lett. a), TUIR)[1];
  2. realizzi proventi per oltre un terzo derivanti da passive income (art. 167, co. 4, lett. b), TUIR);
  3. non svolga un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali (art. 167, co. 5, TUIR).

Trasferimento in Italia di una società controllata estera assoggettata al regime CFC

Nel caso di controllata estera, assoggettata al regime CFC, che trasferisca la propria residenza fiscale in Italia, ci si domanda quale sia il regime applicabile alle attività/passività della società trasferita:

  • se l’art. 166-bis del TUIR che prevede che siano assunte in misura pari al valore di mercato;
  • o se le stesse debbano assumere valori fiscali pari a quelli utilizzati ai fini della disciplina CFC.

Avvalorandosi della tesi della continuità dei valori, si potrebbe affermare che lo status fiscale di una CFC sia assimilabile a quello di una società estera che sia titolare di una stabile organizzazione in Italia in cui siano confluite tutte le sue attività e passività: in entrambi i casi i beni sono già inseriti nel circuito impositivo italiano, cosicché potrebbe prevedersi l’esclusione dell’applicazione del criterio del valore di mercato di cui all’art. 166-bis del TUIR. Questa impostazione, adottata dall’Amministrazione finanziaria, è coerente con la ratio dell’art. 166-bis del TUIR che valorizza beni che entrano nella prima volta nel circuito impositivo italiano.

La correttezza di questa impostazione viene però messa in dubbio da due considerazioni:

  1. la società estera che trasferisce la residenza potrebbe essere assoggettata ad una exit tax parametrata ai valori di mercato dei cespiti trasferiti in Italia. La tesi della continuità dei valori porterebbe ad un rischio di doppia imposizione, in quanto renderebbe incerta la possibilità di recuperare detta imposta;
  2. lo status fiscale di una CFC presenta delle differenze rispetto a quello di una stabile organizzazione localizzata in Italia: la CFC determina la tassazione in capo ai soci e non alla società in sé considerata.

Sarebbero quindi utili, oltreché auspicabili, ulteriori chiarimenti per andare incontro a quei contribuenti che hanno già posto in essere comportamenti contrastanti con le interpretazioni fino ad ora fornite dall’Amministrazione finanziaria.


[1] Il decreto internazionalizzazione ha modificato la lett. a), dell’art. 167, co. 4 del TUIR, prevedendo che debbano essere considerati residenti in Paesi a fiscalità privilegiata i soggetti controllati esteri sottoposti ad una tassazione effettiva inferiore al 15%, in linea con l’IIR prevista dalle GloBe rules. A tal fine, il livello di tassazione è calcolato sulla base del rapporto tra: (i) la somma delle imposte correnti dovute e delle imposte anticipate e differite iscritte nel bilancio d’esercizio del soggetto controllato esteroe (ii) l’utile ante imposta risultante da tale bilancio.

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