Reshoring e Global Minimum Tax: alcuni punti da chiarire

Con la circolare n. 4 del 2024, Assonime ha fornito alcuni chiarimenti in materia di reshoring, facendo emergere, tra l’altro, alcune frizioni tra la stessa e la disciplina della Global Minimum Tax, sulla base della quale l’Italia prevederà, al ricorrere di determinati presupposti, un livello di tassazione di gruppo minima del 15%.

Come noto, il d.lgs. 209/2023, in attuazione della direttiva (UE) 2022/2523, introduce una disciplina in materia di Global Minimum Tax, volta a garantire un livello impositivo minimo del 15% per i gruppi multinazionali o nazionali che superano la soglia dei ricavi di 750 milioni di euro (si tratta delle c.d. Globe Rules messe a punto in attuazione del c.d. Pillar 2).

L’Italia nello specifico ha optato per la possibilità prevista dalla Direttiva di adottare un’imposta minima nazionale in relazione a tutte le imprese localizzate sul territorio italiano (c.d. Qualified Domestic Minimum Top Up Tax- “QDMTUT”). In estrema sintesi, sulla base di tale disciplina, ove le imprese del gruppo localizzate sul territorio dello Stato non raggiungano un livello di imposizione effettiva pari al 15%, le stesse dovranno versare un’imposta integrativa per il raggiungimento di tale soglia.

Nello specifico, l’aliquota di imposizione effettiva (c.d. Effective Tax Rate - “ETR”) consiste nel raffronto tra le imposte rilevanti e i redditi netti corrispondenti di tutte le imprese operanti nel medesimo Paese. Per il calcolo dell’ETR sono rilevanti, tra gli altri, gli effetti derivanti dagli incentivi che generano variazioni in diminuzione della base imponibile che portano a variazioni permanenti. A tal proposito, configurandosi il reshoring come un incentivo fiscale che determina variazioni in diminuzione della base imponibile di natura permanente, può incidere sull’ETR.

L’art. 6 del d.lgs. 209/2023 prevede infatti che in caso di trasferimento in Italia di attività economiche precedentemente svolte in Paesi non UE e non appartenenti allo SEE, si applicherà una detassazione del 50% del reddito imponibile riferibile a tali attività ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini dell’IRAP, per il periodo di imposta in cui si verifica il trasferimento e per i cinque periodi di imposta successivi[1].

Da una lettura congiunta di queste due differenti discipline emerge quindi come, potenzialmente, un’attività rimpatriata che accede alla disciplina del reshoring, a seguito della detassazione del 50%, potrebbe non raggiungere la soglia del 15% prevista dalla QDMTUT. Ove ciò accadesse, il gruppo nazionale a cui fa capo l’attività trasferita in Italia, in presenza dei presupposti, dovrebbe versare l’imposta minima nazionale. Assonime a tal proposito rappresenta due diverse ipotesi:

  • Se nell’ambito delle Covered Taxes (ossia le imposte rilevanti ai fini del calcolo dell’ETR) si tenesse conto esclusivamente dell’IRES (e non vi fossero altre imprese o attività in Italia, oltre a quella rimpatriata), il differenziale di aliquota che il gruppo sarebbe tenuto a versare, sarebbe pari al 3% (15-(24/2));
  • Ove, invece, in tale calcolo dovesse ricomprendersi oltre all’IRES anche l’IRAP (24+3,9), allora il differenziale di aliquota sarebbe pari al’1,05% (15-(27,9/2)).

Un’ulteriore problematica potrebbe derivare da una successiva applicazione della recapture, in quanto l’attuale disciplina non prevede meccanismi che garantiscano il rimborso dell’imposta minima nazionale eventualmente versata nel periodo di applicazione dell’agevolazione.

Pare evidente quindi come sarebbe opportuno un coordinamento legislativo riguardante queste due differenti discipline, in modo tale da sciogliere i dubbi e permettere agli investitori esteri di trasferire la propria attività in Italia senza il rischio di ripercussioni inaspettate.

C.V.


[1] la fruizione dell’incentivo è subordinata all’autorizzazione prevista per gli aiuti di Stato da parte della Commissione UE.

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