Riqualificazione dell’operazione sulla base degli effetti economici solo ex art. 10-bis

28 Marzo 2024

Con l’ordinanza n. 4766 del 22 febbraio 2024, la Corte di cassazione ribadisce che l’art. 20 del d.P.R. 131/1986, essendo una norma meramente interpretativa, non può permettere all’Amministrazione finanziaria di riqualificare un’operazione sulla base degli effetti economici della stessa, attività che potrà essere invece effettuata sulla base dell’art. 10-bis della L. 212/2000. 

Il caso

L’istante, s.r.l. di diritto italiano, impugna in primo grado di giudizio un avviso di liquidazione con il quale l’Agenzia delle entrate riqualificava come cessione d’azienda un’operazione suddivisa in tre fasi:

  1. costituzione della s.r.l.;
  2. conferimento da parte di altra società di un ramo d’azienda nella s.r.l. neocostituita;
  3. cessione da parte della conferente dell’intera partecipazione societaria a due persone fisiche.

A seguito della riqualifica, l’Agenzia accertava quindi maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali.

I giudici di primo grado respingono il ricorso, affermando che gli atti di costituzione della nuova società, seguiti da conferimento di beni e quote, dovevano considerarsi teleologicamente orientati alla cessione diretta dell’azienda.

Anche in secondo grado l’appello del contribuente viene respinto, in quanto la CTR sostiene che l’amministrazione finanziaria, in virtù dell’art. 20 del d.P.R. 131/1986 (Testo Unico dell’imposta di Registro), aveva correttamente valorizzato la causa reale e complessiva dell’operazione economica, a nulla rilevando le forme contrattuali utilizzate dalle parti.

La decisione

La Corte di cassazione accoglie il ricorso del contribuente, e nello specifico il primo motivo di ricorso, con il quale si lamenta che, ai fini della riqualificazione di un atto ex art. 20 del d.P.R. 131/1986, non hanno rilevanza né gli elementi extratestuali, né il collegamento funzionale con altri e distinti atti posti in essere dagli stessi soggetti. Allo stesso modo, la riqualificazione non può avere luogo se si osserva che il risultato giuridico finale della cessione totalitaria di una partecipazione societaria è diverso da quello che si potrebbe ottenere ponendo in essere la cessione diretta di un’azienda.

Si ricordi che l’art. 20 del d.P.R. 131/1986 sancisce che “l'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

La Suprema Corte, nel motivare la propria decisione, richiama la pronuncia della Corte costituzionale n. 158 del 2020, nella parte in cui si afferma che non vi è alcuna violazione degli artt. 3 e 53 Cost., da parte del sopracitato art. 20, ove si ritenga che, ai fini dell'imposta di registro, l'interpretazione degli atti presentati debba avvenire in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali.

Ciò posto, si afferma che un’interpretazione dell’art. 20 in chiave antielusiva determinerebbe l’insorgere di incongruenze nell’ordinamento, specie a seguito dell’introduzione del nuovo art. 10-bis della L. 212/2000. E consentirebbe all’amministrazione finanziaria di intervenire in funzione antielusiva, senza però garantire quanto previsto all’art. 10-bis stesso, ossia il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente e la verifica della sussistenza di “indebiti” vantaggi fiscali e di “operazioni prive di sostanza economica”, impedendo così di fatto qualsiasi tipo di pianificazione fiscale legittima.

Richiamando altre pronunce della Corte stessa, si statuisce che non è possibile tassare l’atto di cessione di quote come cessione d’azienda, in quanto non vi è identità di effetti giuridici tra i due: la prima attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria, la seconda un diritto reale sul patrimonio societario.

Con questa pronuncia la Suprema Corte dà quindi continuità al suo orientamento, circoscrivendo l’ambito di operatività dell’art. 20 a quello di mera norma interpretativa, che non può che permettere una valutazione sul contenuto degli atti stessi, in continuità con la natura dell’imposta a cui si rivolge (l’imposta di registro è infatti una c.d. “imposta d’atto”). Ove invece l’attività di riqualificazione degli atti fosse basata anche sulla valutazione degli “effetti economici” dell’operazione posta in essere, l’Amministrazione finanziaria dovrà ricorrere alla norma antiabuso di cui all’art. 10-bis L. 212/2000, che permette all’Ufficio e al giudice di dare rilevanza al vantaggio fiscale indebito, ma sempre nel rispetto delle garanzie endoprocedimentali riconosciute dallo Statuto dei diritti del Contribuente.

C.V.

cross