Con la sentenza n. 178/2024 la Corte di Giustizia Tributaria di II grado di Toscana ha statuito che per contestare la fattispecie di esterovestizione occorre verificare se il trasferimento all’estero sia avvenuto realmente ovvero sia meramente artificioso. Non costituisce, secondo i giudici fiorentini e in linea con la giurisprudenza di legittimità, elemento necessario per la contestazione della fattispecie la sussistenza dell’intento elusivo. Il caso La vicenda trae origine dall’appello presentato da una società produttrice di materiale termoidraulico contro la sentenza n. 922/2019 della Commissione Tributaria Provinciale di Lucca con lo scopo di annullare gli avvisi di accertamento con i quali l’amministrazione finanziaria contestava per gli anni 2012, 2013 e 2014 l'esterovestizione in capo alla predetta società. La società in questione, con sede legale in UK e registrata presso l’omologo inglese del registro delle imprese italiane, era legata ad altra società italiana attraverso un contratto di franchising, in forza del quale smistava all’estero prodotti provenienti dall’Italia. Nondimeno, presso la sede della società italiana, la Guardia di Finanza rilevava che fossero prese tutte le decisioni amministrative che riguardavano la controparte estera. Presso gli stessi uffici era anche detenuta tutta la contabilità, ed ivi venivano predisposti i bilanci della società estera. Inoltre, congiuntamente alla circostanza per cui le due società avessero lo stesso legale rappresentante, l’Ufficio riteneva sussistente in Italia la sede dell’amministrazione ex art. 73, c. 3 TUIR. Il giudizio di primo grado instaurato contro gli avvisi di accertamento veniva rigettato dalla CTP competente. Contro la detta sentenza la società proponeva appello, deducendo, tra le altre cose, l’infondatezza della contestazione di esterovestizione per non aver l’Ufficio provato l’intento elusivo sottostante il trasferimento della contribuente all’estero; contestava inoltre che, nell’applicare il criterio di collegamento della sede dell’amministrazione, l’Ufficio avesse confuso il potere di amministrazione con il potere di direzione e controllo tipico dei gruppi societari. La decisione La Corte respinge tutte le richieste della società appellante. In relazione al primo motivo d’appello i Giudici asseriscono che l’intento elusivo non costituisce elemento necessario per la configurazione dell’esterovestizione: non è quindi rilevante la sussistenza di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale. Occorre invece verificare che il trasferimento all’estero sia realmente avvenuto e non sia meramente artificioso (cioè, non riproduca corrispondente e genuina realtà economica). Nel caso di specie, deponevano per la sussistenza della sede dell’amministrazione in Italia le seguenti circostanze: tutta la contabilità era tenuta in Italia; presso gli uffici della società italiana avveniva la predisposizione dei bilanci; la società operava mediante il supporto dell’impianto logistico, informatico, amministrativo e contabile messo a disposizione dalla società italiana; quest’ultima interveniva anche sul fronte delle politiche di vendita, determinando i prezzi. A fronte di specifica doglianza dell’appellante, la Corte fiorentina compie delle condivisibili considerazioni in ordine alla differenza sussistente tra il potere di amministrazione (che l’Ufficio riteneva esercitato dall’Italia, sì da rettificare la residenza fiscale) e il potere di direzione e coordinamento tipico dei gruppi societari. Sarebbe stato infatti ipoteticamente ammissibile con la residenza fiscale estera la presenza di un coinvolgimento del socio italiano in alcune scelte decisionali della controllata, in una prospettiva di uniformazione delle strategie di gruppo. Tuttavia, nel caso di specie, vi è una vera e propria amministrazione della società del Regno Unito da parte del socio italiano, giacchè questo impartisce ripetutamente tutti gli ordini, comandi ed autorizzazioni che coprono tutto il ciclo di vendita dall'inizio alla fine. La sentenza in commento risulta particolarmente importante in quanto le conclusioni a cui giunge la Corte statuiscono l’obbligo di verifica dell’effettivo trasferimento ai fini della sussistenza del fenomeno dell’esterovestizione, anche qualora mancasse l’intento elusivo nell’azione, ulteriore rispetto al mero risparmio fiscale. I Giudici fiorentini prendono dunque le distanze dall’orientamento giurisprudenziale di legittimità che in passato, anche attraverso vari rinvii alle decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, aveva ricompreso il fenomeno dell’esterovestizione nell’alveo delle fattispecie di abuso del diritto. G.A.