Abstract La Corte di Giustizia UE, con la sentenza del 3 aprile 2025, causa C-228/2024, ha fornito rilevanti precisazioni in ordine all’ambito applicativo della clausola antiabuso di cui alla Direttiva 2011/96/UE (“madre-figlia”) affermando che, ai fini della disapplicazione del regime di esenzione sui dividendi previsto dalla Direttiva, non è sufficiente la mera qualificazione della società controllata quale costruzione non genuina, essendo altresì necessario dimostrare la sussistenza di un intento elusivo volto a conseguire un vantaggio fiscale contrario alla ratio della normativa unionale. La vicenda in esame riguardava una controversia tra una società residente in Lituania e l’Ispettorato fiscale statale lituano che aveva negato alla suddetta società l’esenzione dall’imposta sulle società per i dividendi ricevuti negli anni 2018 e 2019 dalla sua controllata britannica, qualificandola come “costruzione non genuina” ai sensi della normativa antiabuso. Secondo l’Ispettorato la società figlia non disponeva di una struttura economica reale nel Regno Unito, non aveva una sede operativa britannica, beni materiali, né un’adeguata dotazione di personale (eccetto un direttore, attivo anche per altre società). Di fatto, le attività di sviluppo e distribuzione di videogiochi risultavano svolte direttamente dalla società madre lituana. Quest’ultima contestava la ricostruzione dell’autorità lituana, sostenendo che la propria controllata avesse una funzione economica reale (i.e. intermediazione con le piattaforme di distribuzione) e sottolineando che non beneficiava di alcun vantaggio fiscale, dal momento che l’aliquota nel Regno Unito (24%) era superiore a quella lituana (15%). Il giudice nazionale ha quindi sottoposto tre questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’UE, relative a: Con riferimento al primo quesito, la Corte ha stabilito che la clausola antiabuso contenuta nell’art. 1, par. 2 e 3, della Direttiva madre-figlia non impedisce agli Stati membri di negare l’esenzione fiscale sui dividendi a una società madre anche quando la società figlia non è una società interposta e gli utili derivano da attività proprie di quest’ultima. Tuttavia, tale esclusione è ammissibile soltanto laddove ricorrano gli elementi costitutivi di una pratica abusiva, ossia quando la struttura risulti non genuina e priva di valide ragioni economiche che riflettano la sostanza dell’operazione. In relazione alla seconda questione, i giudici unionali hanno chiarito che non è conforme alla finalità della clausola antiabuso limitarsi a valutare esclusivamente la situazione esistente al momento del pagamento dei dividendi. Al contrario, è necessario esaminare l’insieme dei fatti e delle circostanze rilevanti, comprese le eventuali evoluzioni successive alla creazione della società, per verificare se una determinata fase della costruzione debba essere considerata non genuina. In altri termini, anche una costruzione originariamente genuina può assumere carattere artificioso nel tempo, qualora venga mantenuta nonostante un mutamento delle circostanze iniziali. Ne consegue che una prassi amministrativa che limiti l’analisi al solo momento della distribuzione dei dividendi risulta incompatibile con il diritto unionale. Per quanto riguarda l’ultimo quesito, la Corte UE ha chiarito che, affinché si possa negare il beneficio dell’esenzione fiscale previsto dalla Direttiva, devono sussistere due condizioni cumulative: da un lato, l’esistenza di una costruzione non genuina, cioè priva di valide ragioni economiche e di sostanza economica reale; dall’altro, lo scopo principale (o uno degli scopi principali) della costruzione artificiosa deve essere quello di ottenere un vantaggio fiscale in contrasto con lo scopo della Direttiva. Ne consegue che la mera assenza di sostanza economica non è sufficiente a configurare un abuso del diritto: è necessario anche l’intento soggettivo di ottenere un indebito vantaggio fiscale. In particolare, secondo la Corte tale vantaggio non può essere costituito, di per sé soltanto, dall’esenzione in favore dei dividendi distribuiti dalla figlia come previsto dalla Direttiva, ma deve riflettere un risparmio fiscale tenuto conto delle differenze di aliquota tra lo Stato membro della società madre e quello della società figlia. La sentenza in commento si inserisce in un filone giurisprudenziale unionale consolidato[1] in materia di abuso del diritto in ambito fiscale, rappresentando un ulteriore passo nella definizione del delicato equilibrio tra il diritto alla libertà di stabilimento e la necessità di contrastare pratiche elusive. Sotto il profilo operativo, i principi espressi dalla Corte UE impongono ai gruppi societari operanti nella UE di documentare accuratamente le ragioni economiche e commerciali alla base della costituzione di controllate estere, garantire una sostanza economica effettiva delle controllate, in termini di risorse umane, strutture materiali e autonomia operativa e monitorare costantemente l’adeguatezza delle strutture esistenti, anche alla luce di eventuali mutamenti delle circostanze originarie. L.A.F. e D.R. [1] Cfr. C-116/16; C-117/16; C-556/20; C-196/04.
Il caso
La decisione