In merito al requisito della “commercialità” per l’applicazione della PEX, giurisprudenza e prassi sono ormai allineate nel ritenere che anche la fase di “start-up”, sebbene non idonea autonomamente a configurare esercizio di attività commerciale, è suscettibile di assumere una connotazione commerciale laddove a tale fase segua l’effettivo svolgimento dell’attività d’impresa. Sotto la lente d’ingrandimento torna, ancora una volta, il requisito della commercialità ex art. 87 del TUIR nel caso di attività d’impresa embrionale, che già in passato ha visto il fiorire di pronunce giurisprudenziali e copiosa prassi dell’Agenzia delle Entrate. Come noto, l’art. 87 del TUIR detta quelli che sono i requisiti per beneficiare del regime di participation exemption (PEX) con l’intento di assicurare la simmetria di trattamento fiscale delle plusvalenze realizzate in occasione del trasferimento delle partecipazioni in linea con quanto previsto in ambito europeo e rimanda – per la definizione di commercialità – all’art. 55 del TUIR[1], ove per commercialità si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 del Codice civile[2]. Giova altresì ricordare la presunzione, senza possibilità di prova contraria, che il requisito della “commercialità” non sussiste relativamente alle partecipazioni in società il cui valore del patrimonio è prevalentemente costituito da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l’attività dell’impresa, dagli impianti e dai fabbricati utilizzati direttamente nell’esercizio d’impresa. In questo contesto si innesta una recente ordinanza della Suprema Corte (n. 14800/2025), che è stata di nuovo chiamata a pronunciarsi sul tema, a fronte di un inspiegabile cambio di rotta da parte dell’ufficio accertatore. Ed infatti, l’Agenzia delle Entrate ha contestato l’assenza del requisito di commercialità in capo ad una società la cui sola attività svolta – al momento della cessione della partecipazione con applicazione della PEX – consisteva nella costruzione dell’unico edificio dedicato (come è stato poi nei fatti) all’esercizio dell’attività d’impresa. Si trattava, in particolare, di una S.r.l. che aveva ceduto il 26% delle quote possedute in altra società, la quale aveva in costruzione un immobile da destinare a scopo alberghiero. La cessione generava una plusvalenza assoggettata al regime PEX, con conseguente riduzione del reddito imponibile della S.r.l. relativo all’anno d’imposta 2008. L’Agenzia delle Entrate, in sintesi, contestava la sussistenza del requisito della commercialità in capo alla società partecipata, sostenendo che tale requisito sussistesse solo a partire dal momento in cui l’albergo fosse effettivamente entrato in funzione per scopi ricettivi (circostanza nella specie appurata a partire dal 2010). Ciò che nel caso di specie stupisce è che la stessa Agenzia abbia coltivato il contenzioso, pur avendo già confermato nella circolare n. 7/2013 la sussistenza il requisito della commercialità anche nel caso in cui l’impresa disponga della capacità anche solo potenziale di soddisfare la domanda del mercato in tempi tecnici ragionevoli in relazione alla specificità del settore economico di riferimento e, ancora, che il periodo di start up, ancorché non idoneo autonomamente a configurare l’esercizio di attività commerciale, è suscettibile di assumere una connotazione commerciale, ai fini PEX, nell’ipotesi in cui venga seguito dallo svolgimento dell’attività d’impresa. Ancora la stessa Agenzia, nella risposta ad interpello n. 354 del 2022, con un elenco non esaustivo ha precisato che le operazioni di assunzione dei finanziamenti, di acquisizione delle aree interessate dall’attività d’impresa, gli incarichi professionali affidati […] costituiscono indicatori idonei alla configurabilità della commercialità in ambito PEX. Ed infatti, l’intervento degli Ermellini ammonisce l’Agenzia, con una decisione in linea con l’orientamento condiviso, peraltro, da ampia giurisprudenza che a chiare lettere ha già ribadito che gli atti economici preparatori – che permettono di individuare l’oggetto dell’attività e il suo carattere anche prima che siano instaurati rapporti con terzi – sono atti d’impresa[3]. Pertanto, costituiscono esercizio di un’attività economica[4] le attività preparatorie, cioè – a titolo esemplificativo – tutte le attività dirette a costituire, definire e rendere operativa la struttura aziendale, comprese quelle relative agli studi preparatori, all’ottenimento di permessi, licenze e autorizzazioni, alle ricerche di mercato, all’addestramento iniziale del personale, all’acquisizione delle risorse finanziarie e tecniche necessarie ad avviare l’attività dell’impresa. Anche la Corte di Giustizia UE, in tempi non sospetti, aveva stabilito che l’attività d’impresa deve ritenersi esercitata fin dal momento in cui vengono realizzati atti inequivocabilmente finalizzati all’attività professionale[5]. La fase di start up così intesa costituisce quindi un fattore essenziale e imprescindibile della vita dell’impresa. Sulla base di tali considerazioni, la Suprema Corte, nel caso di specie, ha enunciato il principio di diritto secondo cui, ai fini del riconoscimento della PEX, il requisito della commercialità non può ritenersi escluso laddove l’immobile strumentale sia in costruzione, poiché tale attività è finalizzata a dotare l’impresa di un autonomo apparato organizzativo, a condizione che sia successivamente dimostrato l’effettivo avvio, nello stesso immobile, dell’attività imprenditoriale. Quanto stabilito dai giudici di legittimità, ma soprattutto, il costante orientamento che oramai perdura solido da oltre un decennio, trova applicazione non solo in campo immobiliare, ma anche in altri settori produttivi, tra cui anche l’innovativo quanto attenzionato settore delle energie rinnovabili. Tale conclusione trova conforto nella risposta ad interpello n. 883/2021, con la quale l’Agenzia ha precisato che l’ipotesi di società partecipate che operano nel settore della produzione di energia, la cui attività tipica è necessariamente preceduta da una serie di attività preliminari astrattamente riconducibili alla fase di start up quali, a titolo esemplificativo, la ricerca dei siti ove ubicare gli impianti, l’ottenimento dei permessi/autorizzazioni, rientra nella nozione di attività commerciale ai fini della PEX. In definitiva, il requisito della commercialità si connota per essere un criterio meritevole di valutazione alla luce della concreta finalizzazione dell’attività alla produzione o allo scambio di beni o servizi. La giurisprudenza, unita alla prassi più avveduta, ci ricorda che il cuore dell’impresa batte già nella fase di start-up, laddove l’azione è orientata e organizzata verso il mercato. Ignorare questo dato significherebbe negare l’essenza stessa dell’attività economica contemporanea, sempre più progettuale, complessa e anticipatoria. L.A.F. e D.R. [1] Sono inoltre considerati redditi d’impresa: (i) i redditi derivanti dall’esercizio di attività organizzate in forma d’impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 del Codice civile; (ii) i redditi derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne; (iii) i redditi dei terreni, per la parte derivante dall’esercizio delle attività agricole, ove spettino alle società in nome collettivo e in accomandita semplice nonché alle stabili organizzazioni di soggetti non residenti esercenti attività d’impresa. [2] Attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; attività intermediaria nella circolazione dei beni; attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; attività bancaria o assicurativa; altre attività ausiliarie delle precedenti. [3] Cfr. Cass. 15769/2004. [4] Cfr. tra le altre, Cass. 22649/2024; Cass. 23994/2018; Cass. 18475/2016. [5] Corte di Giustizia UE, C-110/94.